Comunità e comunicazione dei territori

La comunicazione delle destinazioni turistiche si rivolge per sua natura alla domanda e ai mercati della domanda turistica. Ma non solo a essi. Semplificando, potremmo direi che oggi la maggior parte delle destinazioni italiane si rivolge prevalentemente, nel medio raggio, ai mercati di lingua tedesca (DACH – Germania, Austria, Svizzera), al mercato interno (domestico) di altre regioni italiane se parliamo di corto raggio, fino ad arrivare ai mercati nordamericani, piuttosto che russi, se guardiamo al lungo raggio. Sono questi i target di domanda dei territori italiani. Oggi, come sappiamo, i flussi incoming (in ingresso) dalla Russia si sono ampiamente arrestati a causa della guerra in Ucraina e delle relative sanzioni. Nuovi mercati turistici a lungo raggio di un certo interesse per il nostro paese sono nati negli ultimi anni, primo fra tutti quello cinese. Tuttavia, la pandemia Covid ha rappresentato una cesura. C’è un “prima” che conosciamo e riconosciamo ma che sappiamo non sarà più così nel “dopo” pandemia che comincia a profilarsi. La pandemia è stata per il turismo, soprattutto per i viaggi a lungo raggio, una vera e propria rifondazione costitutiva. Ciò che sarà e come si configurerà il “nuovo turismo” non possiamo, molto probabilmente, dirlo oggi, in un momento nel quale, almeno nel nostro paese, nonostante il caldo e l’estate, la curva dei contagi ha ripreso a salire con inedita veemenza.

Tuttavia, il concetto di target, per quanto utile e significativo, non è più sufficiente. Come agenzia di comunicazione preferiamo ragionare in un’ottica di persone, di buyer personas e di audience. Quando ci mettiamo al lavoro, infatti, ci rendiamo spesso conto che i target non sono più una segmentazione sufficiente. Bisogna segmentare meglio.  Nel concetto di buyer personas troviamo alcune risposte, oppure alcune domande corrette, che forse sono più importanti delle risposte stesse.

Nel corso della nostra professione, in un prezioso e costante processo di learning by doing, abbiamo scoperto che i mercati della domanda sono certo fondamentali, ma che la comunicazione del territorio ha logiche specifiche, molto diverse da quelle della comunicazione aziendale o di marca. Perché l’azienda, solitamente, ha un amministratore delegato, un responsabile marketing, e tutta una filiera piramidale anche molto diretta… i territori no. I territori vivono indipendentemente dalla scelta dei loro sindaci o dei loro presidenti o governatori di regione. La comunicazione del territorio sfugge a sé stessa, molto più di quanto accade fisiologicamente anche per l’identità di marca. La destinazione (turistica) deve sempre fare i conti con una realtà che la supera: il territorio con le sue infinite relazioni.

Si deve partire dal territorio stesso per fare, come noi lo chiamiamo, destination design. Quindi non tanto guardare fuori dal territorio, ma guardare dentro il territorio e lavorare costantemente in comunicazione sul territorio stesso, con i suoi stakeholder, ma anche con gli operatori della filiera turistica e, spesso, con i cittadini residenti, anche se non sono professionisti del turismo. Anzi, forse proprio per questo. Ecco che allora, oltre al target della domanda turistica si profila, nel nostro lavoro, un target altrettanto importante, quello delle audience interne che insistono sul territorio stesso che siamo chiamati a comunicare e promuovere. L’agenzia di comunicazione è una goccia nel mare del processo di costruzione identitaria di un territorio e più di una volta ci siamo accorti che la cosa migliore che potessimo fare, soprattutto davanti all’esiguità dei budget destinati agli investimenti media rispetto agli obiettivi fissati, era comunicazione interna, verso il territorio e sul territorio, nell’intento di innescare consapevolezza, coesione e viralità del messaggio.

Il turismo del futuro? Parte dai cittadini residenti, dalla loro qualità della vita, dalla capacità di essere felici, dalla loro cura verso la terra che abitano. I turisti arriveranno di conseguenza”. Non abbiamo fatto altro che lasciarci ispirare da Carlin Petrini, fondatore di Slow Food.

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