Sulle nuove rotte del turismo veneto

Il nostro tour in Veneto si è concluso. Abbiamo incontrato alcune delle maggiori destinazioni turistiche e i principali segmenti di offerta della regione. Una serie di conversazioni ci ha restituito la fotografia di un sistema dinamico e altamente articolato, con differenti organismi di governance rispetto ai vari territori e ai vari gradi di evoluzione del management e del marketing delle singole destinazioni che abbiamo conosciuto.

Prima di una meritata pausa estiva, è tempo quindi di tirare le somme, di provare a trarre qualche conclusione, ma soprattutto, sulla scia delle esperienze venete che abbiamo approfondito insieme ai protagonisti, di provare a immaginare le future linee di sviluppo, le nuove rotte, del Destination Management nel nostro Paese.

Per farlo, abbiamo interpellato Enrico Ferrero, amministratore delegato di Ideazione srl e socio fondatore di DEDE – Destination Design, rete di imprese costituita da Ideazione, Itur e Studiowiki. Ad accompagnarci, come sempre, l’immagine grafica della nostra Valeria Morando e le fotografie di Davide Busetto.

Verona, foto di Davide Busetto.

Il modello veneto di governance turistica, oggi, pare tendere alla semplificazione, attraverso la costituzione di enti di diritto misto, pubblico-privato: le fondazioni. Allora voglio chiederti: esiste, secondo te, una forma migliore di un’altra per organizzare la governance di una destinazione turistica, in Veneto come altrove? Quanto è importante la collaborazione pubblico-privata nella governance turistica?

Premesso che la forma di governance più adatta dipende naturalmente dalle caratteristiche e dalle condizioni del territorio, quella che personalmente ritengo preferibile è senza dubbio quella pubblico-privata, per una serie di ragioni.

Anzitutto perché, come ben sappiamo, al successo della destinazione concorrono parimenti sia la sfera pubblica che quella privata. Le politiche di sviluppo territoriale e turistico definite dal pubblico hanno inevitabilmente una ricaduta sul successo di una destinazione. Penso in termini infrastrutturali, ma non soltanto. Ad esempio, anche la capacità di costituire un organismo di governance è spesso frutto di decisioni e strategie politiche. Dall’altra parte, l’offerta di un territorio e la capacità di sapersi promuovere, di sapersi vendere sui mercati, è invece compito e onere della componente privata. Questa è la prima ragione per cui sarebbe preferibile una forma mista pubblico-privata: perché appunto mette a sistema la visione, gli interessi e le opportunità di entrambe le sfere.

La seconda ragione, forse anche più importante della prima, è che l’organismo di governance ha il compito di pianificare in un’ottica di strategia di visione, soprattutto di quello che vuole essere il futuro della destinazione, e quindi deve ragionare in un’ottica di lungo periodo. Il poter bilanciare, come avviene all’interno di un organismo pubblico-privato, quelli che sono tempi e necessità di entrambe le sfere permette appunto di poter ragionare in un’ottica di lungo periodo. Perché, dal mio punto di vista, oggi la debolezza più grande nel governo di una destinazione è legata al fatto che spesso il destino di questo governo corrisponde al destino dell’amministrazione di turno o delle amministrazioni di turno. Con un organismo pubblico-privato, si riescono a superare quelli che sono i tempi della politica e dei mandati amministrativi e quindi, appunto, garantirsi la possibilità di poter operare nel lungo periodo.

Vedendo l’esperienza delle destinazioni venete, è chiaro che le dinamiche che intervengono in un contesto sono determinanti anche nella scelta della forma di governo migliore. Penso ad esempio all’esperienza di Padova, dove esistono già oggi due organismi, uno di matrice pubblica o istituzionale, l’altro invece di matrice privata. Entrambi gli enti hanno una storia alle spalle. Dal mio punto di vista, sarebbe rischioso volerli costringere a fondersi. Mi pare che questa però sia la strada che stanno prendendo: corretto da un punto di vista teorico, bisogna poi comprendere nella pratica se questi due organismi sapranno convivere. Questo per dire che inevitabilmente in un organismo pubblico-privato bisogna riuscire a trovare il giusto compromesso anche tra quelli che sono gli interessi di natura diversa dei soggetti che lo compongono. Nella teoria dei giochi, banalmente, per quelli che sono i giochi cooperativi, inevitabilmente ciascuno deve cedere qualcosa di sé per perseguire un interesse comune più alto: questa è la logica che sta alla base di qualunque organismo di cooperazione ed è una regola che vale anche nell’ottica degli organismi pubblico-privati turistici.

Cappella degli Scrovegni, Padova, foto di Davide Busetto.

Quali sono, se ci sono, secondo te, i principali fattori che determinano il successo di una destinazione turistica? Visione, strategia, governance, pianificazione, risorse? E, soprattutto, come si fa a misurare “il successo”?

Non c’è, dal mio punto di vista, un fattore principale o che prevale sugli altri: sono tutti tra loro strettamente correlati e l’uno dipende inevitabilmente dall’altro. Visione, strategia, governance, pianificazione, risorse. Serve un mix di tutte queste cose.

La visione è fondamentale perché permette di avere un orizzonte di lungo periodo a cui tendere e deve essere necessariamente il concordato di più punti di vista. La governance è il soggetto deputato in qualche modo a perseguire la visione e a scaricare a terra azioni e attività e le risorse che servono per perseguirla. Strategie e pianificazione vanno a braccetto, anzi parlerei di pianificazione strategica, che è, appunto, il modo attraverso cui una destinazione e un organismo di governance persegue una visione di lungo periodo e le risorse sono la benzina da mettere nella macchina per far funzionare il tutto.

Prima parlavo di soggetto misto pubblico-privato e della necessità in qualche modo che questa sia, dal mio punto di vista, la forma preferibile per un organismo di governance di una destinazione. Tra le ragioni per cui preferirla, c’è anche la necessità di svincolare gli organismi di governance e il loro funzionamento esclusivamente dalle risorse pubbliche. Nel momento in cui all’interno di un organismo di governance c’è una componente privata si innescano infatti dinamiche di imprenditorialità che aiutano a immaginare forme di sostenibilità economica che prescindano, appunto, dalle risorse pubbliche. La DMO dovrebbe essere in grado di diversificare le fonti di finanziamento e di sostenibilità. Oltre alle risorse pubbliche e alle quote di adesione da parte dei soci e degli aderenti all’organismo di governance, c’è anche un’altra componente fondamentale – e lo dimostrano diversi casi studio in materia di organismi di governance a livello soprattutto internazionale, ma anche nazionale – ovvero la capacità di generare economia, di saper in qualche modo produrre reddito attraverso le proprie attività. In Italia, per citare un caso, Bologna Welcome basa una buona parte del suo budget su quelli che sono i proventi dalla gestione di attrattori o dalla vendita di servizi di natura turistica. Questo per dire che tutti i fattori sono ugualmente importanti, ma spesso a fare la differenza è la capacità di intercettare le risorse e poi di saperle spendere bene.

Oggi sembra dominare, anche in campo turistico, come in tanti altri settori di mercato, una marcata polarizzazione. Da una parte alcune destinazioni soffrono i mali di una eccessiva pressione turistica (overtourism), dall’altra, sempre più destinazioni faticano, per mancanza di strategia e governance, ad affacciarsi compiutamente sul mercato. In mezzo, quelle località che, dopo i fasti del boom economico prima e degli anni Ottanta e Novanta poi, non stanno riuscendo a rinnovare un prodotto maturo, perdendo importanti fette di un mercato turistico della domanda che ha visto, ancor più dopo il Covid, una repentina evoluzione nelle abitudini di consumo.

La sfida dei sistemi turistici, sia a livello regionale, sia nazionale, dei prossimi anni, sarà quella di provare a riarmonizzare i flussi. Se sì, come fare? La destagionalizzazione, ma forse sarebbe più corretto chiamarla stagionalizzazione, può essere una risposta efficace? Pensi ve ne siano altre?

In questa domanda si affrontano tanti temi che hanno punti di tangenza tra loro, ma anche punti di divergenza. Overtourism, stagionalità dei flussi, destinazioni mature: sono temi anche molto distanti che vanno affrontati in maniera peculiare rispetto a ogni singola destinazione; quindi, non c’è certamente una risposta universale a questi problemi o una ricetta che possa evidentemente adattarsi a qualunque contesto. Io parlerei invece di quella che è la causa di questi effetti, che ancora una volta, dal mio punto di vista, è la mancanza di governance e di management che operino nelle destinazioni, anche allo scopo di gestire queste situazioni e di prevenirle.

Non mi piace parlare di gestione dei flussi, perché i flussi non si gestiscono: si gestisce semmai la programmazione dell’offerta e di tutta l’attività di comunicazione e promo commercializzazione di quell’offerta sui mercati e si gestisce quella che è la decisione strategica e di marketing riferita, ad esempio, ai mercati e ai segmenti target a cui si vuole rivolgersi. Ma oggi in molte destinazioni, mancando un organismo di governance e mancando spesso delle figure deputate al destination management, questi ragionamenti non si fanno e quindi si affronta il tema, come spesso avviene in Italia, una volta che il problema si è manifestato. Se ci pensiamo, i fenomeni di overtourism si sono manifestati in maniera un po’ imprevedibile in molte delle destinazioni che in questi ultimi anni, specialmente nella stagione estiva, sono salite agli onori della cronaca. Ma il sovraffollamento è in realtà un fenomeno che si registra già da moltissimi anni, da decenni, in molte destinazioni. Roma, ad esempio, è una destinazione che in qualche modo soffre di overtourism, se non da sempre, almeno negli ultimi vent’anni. Barcellona, che oggi è forse la destinazione emblematica da questo punto di vista, soffre di overtourism da molto tempo. Oggi se ne parla perché anche in altre destinazioni, in certi periodi dell’anno, si devono affrontare flussi superiori al carico sostenibile e se ne parla perché la comunità locale, in molte destinazioni, inizia a ribellarsi agli effetti dell’overtourism. Quindi ci troviamo ad affrontare la problematica quando ormai si è manifestata.

Davide Busetto Venezia Veneto
Venezia, foto di Davide Busetto.

Gli stessi argomenti potrei utilizzarli per il tema della stagionalità dei flussi. Ci sono destinazioni che storicamente registrano una concentrazione di flussi solo in alcuni mesi dell’anno. Tantissime destinazioni balneari italiane vivono quattro mesi l’anno, poi, andando a vedere i dati, in realtà i flussi si concentrano in una finestra di 30/45 giorni. La causa di queste situazioni può essere ricercata nella mancanza di una governance, ma anche – e forse come conseguenza di questa prima causa – spesso in un atteggiamento conservativo e opportunistico da parte degli operatori della destinazione. Mi è capitato in alcune destinazioni di affrontare il tema dell’allungamento della stagionalità, salvo poi rendermi conto che non era nell’interesse degli operatori; magari era nell’interesse della politica, degli amministratori, ma non degli operatori, perché quei pochi mesi all’anno sono sufficienti a gratificare le ambizioni e gli interessi degli operatori.

Bisogna fare i conti anche con questo: non si può imporre la stagionalità. Laddove il contesto lo consente e anzi è favorevole, con un’operazione di governance, di management e marketing, si può invece andare a lavorare sull’allargamento delle stagioni, puntando ad esempio su segmenti di mercato o su mercati differenti da quelli attuali. Recentemente è uscito un articolo di nostra produzione che analizza i flussi estivi in quattro macro-destinazioni balneari – nella fattispecie la Maremma Toscana, il Salento, la Riviera romagnola e la Riviera veneta – da cui si evince che tre su quattro, lavorando quasi esclusivamente con la domanda italiana, nei fatti lavorano soltanto, appunto, 45 giorni l’anno. La quarta destinazione, veneta per altro, che invece ha una prevalenza di flussi internazionali, è in grado di spalmarli in maniera molto più uniforme e quindi avere dei tassi di occupazione da giugno a settembre che non oscillano, così come invece oscillano in altre destinazioni.

Una nota frase di Carlin Petrini recita “Il turismo del futuro? Parte dai cittadini residenti, dalla loro qualità della vita, dalla capacità di essere felici, dalla loro cura verso la terra che abitano. I turisti arriveranno di conseguenza”. Alcune destinazioni, specialmente dei Paesi scandinavi, ma non solo, stanno interpretando il ruolo delle DMO locali, gli organismi deputati a governare il ‘sistema turismo’ di un territorio, come facilitatori che rivolgono la loro attenzione al miglioramento complessivo della qualità della vita sul territorio di competenza, intervenendo a 360 gradi anche su quei settori, come welfare e trasporti, che non venivano immediatamente ricondotti alla sfera di competenza ‘turistica’ strettamente intesa. Dall’attrazione di ‘turisti’ a quella di ‘nuovi cittadini’.

Uno degli errori del comparto italiano non potrebbe anche essere quello di percepirsi erroneamente come ‘industria delle vacanze’, anziché acceleratore di sostenibilità, più ampiamente intesa nelle sue tre accezioni: ambientale, sociale ed economica?

Oggi il ruolo del destination manager è profondamente cambiato, nel senso che, come la domanda lascia intendere, quello che una governance di destinazione e un destination manager devono presidiare non è solo e soltanto il prodotto turistico, l’offerta turistica, ma evidentemente è un ecosistema che coinvolge la comunità locale, che coinvolge il sistema imprenditoriale tout-court dei territori, che coinvolge gli enti del terzo settore, che deve tenere insieme tante anime con bisogni, necessità, interessi e obiettivi talvolta anche molto, molto diversi tra loro.

Dolomiti bellunesi, foto di Davide Busetto.

La citata esperienza internazionale dei paesi scandinavi rischia di essere fuorviante, perché – senza voler sembrare qualunquista – noi scontiamo un gap enorme rispetto a molti paesi europei e internazionali in tema di destination management. Noi stiamo ancora rincorrendo alcune questioni che all’estero sono già più che assodate. Il tema destination manager in Italia è ancora agli albori e lo dimostra il fatto che sono molto pochi i territori e le destinazioni dotati di un destination manager. Lo stesso settore del Destination Management è popolato di figure certamente competenti ma che non possono definirsi dei manager: sono spesso consulenti, sono spesso dipendenti di organismi della destinazione, come amministrazioni o consorzi, che però magari non hanno né l’attribuzione di ruolo né le competenze per poter svolgere il ruolo di manager.

E allora perché parlo di destination manager? Perché io credo che nel futuro, almeno quello italiano, il destination management debba ancora affermarsi, e si affermerà, ma deve ancora fare un percorso di formazione, e fintanto che nelle destinazioni non si affermeranno gli organismi di governance difficilmente potranno affermarsi i destination manager. In un futuro ancora più lontano, più vicino se pensiamo ai paesi scandinavi, ad esempio, i destination manager dovranno essere sempre di più dei city manager, cioè soggetti capaci di governare una complessità data dalla necessità di soddisfare i bisogni di una molteplicità di individui che vanno oltre i semplici turisti o i semplici addetti ai lavori del comparto turistico.

È prematuro oggi affrontare questo tema in Italia, proprio perché ancora c’è da colmare un gap su altri aspetti. Certo è che questo rischia di farci perdere ulteriormente competitività, anche rispetto a un tema centrale e trasversale del turismo e dello sviluppo di territori in generale come quello della sostenibilità, di grandissima attualità e su cui c’è grande attenzione. Ancora fatico però a intravedere dei modelli che in destinazione si affermino, che dimostrino effettivamente di essere impattanti, di produrre dei risultati su questo fronte. Bene che se ne parli, bene che ci sia molta attenzione, bene che si facciano delle sperimentazioni, perché le sperimentazioni si stanno facendo, ma ancora una volta è tutto un tema di governo di una destinazione, tutta una questione di saper affermare sui territori degli organismi che facciano politica e sviluppo di destinazione in maniera continuativa, senza soluzione di continuità e sul lungo periodo.

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