Per una comunicazione etica della destinazione turistica

locanda mistral in val maira

Se in un buon vino la struttura e l’identità, ovvero quell’insieme irripetibile di tratti marcati, elementi pertinenti e inscindibili relazioni in mutuo accrescimento che sono superiori alla sommatoria algebrica delle singole parti, sono date da quello che siamo soliti definire con il termine terroir; allo stesso modo per una destinazione potremo parlare di territorio. Non altro che il contesto nel quale accadono e si succedono le relazioni. Relazioni tra le persone e relazioni tra le persone e il paesaggio, inteso nella sua accezione più ampia.

La comunità – fatta di cittadini residenti ma anche di cittadini temporanei, ovvero escursionisti e turisti – e il paesaggio fanno del territorio ciò che esso è. Sono la sua essenza. Possiamo allora sostituire il concetto, forse oggi un po’ abusato nel marketing e nella comunicazione turistica, di esperienza con quello che ci sembra essere più adatto e calzante: la relazione.

L’esperienza (turistica) è una messa in relazione. Un’eco di corrispondenze che dovrà trovare nel ritmo piano e nello stile semplice della prosa quotidiana la sua straordinarietà. Una comunicazione che si concentra sulle relazioni che fanno un territorio: persone e paesaggio. Mettendo al centro il luogo si potranno costruire narrazioni da scovare nelle pieghe del vissuto materiale e immateriale della destinazione. Non limitarsi a raccontare semplicemente i valori della destinazione attraverso le peculiarità del paesaggio e le componenti umane ed emozionali forti, bensì avviare azioni di comunicazione che sappiano innescare processi virtuosi fuori e dentro la destinazione. Una comunicazione che non si limiti a dire, a fare discorsi e costruire messaggi, anche di valore, a proposito di quello che si prefigge di raccontare. Bensì una comunicazione che dicendo “fa” e facendo “dice”.

Il luogo della relazione positiva e di valore è il luogo ospitale per eccellenza. È il luogo perfetto per il soggetto che si conosce e riconosce attraverso la relazione con l’altro (persona e paesaggio). La coralità generata dai singoli racconti richiuderà la circolarità del messaggio sulla marca. Un percorso circolare nella costruzione dell’identità di marca che attraversa il territorio con le sue relazioni. Una marca come spazio aperto, libero e potenzialmente mai concluso che accoglie le infinite dichiarazioni dei soggetti che partecipano direttamente, nel loro essere comunità, al processo di significazione della marca stessa.

Una comunicazione che sia ambiziosa e innovativa, ovvero che sappia proporsi oltre le logiche consolidate e spesso ormai paludate della comunicazione di brand territoriale. La comunicazione di territorio è stata fatta, dal dopoguerra agli anni Ottanta, attraverso grafiche flat e illustrate; fra gli altri motivi che possiamo ipotizzare, quello correlato, ad esempio, alla tecnologia applicata alla fotografia, che non era sufficientemente sviluppata per rendere giustizia alle qualità e alle bellezze dei territori. La foto di territorio era relegata alla cartolina. Con l’avvento della nuova tecnologia digitale applicata alla fotografia, negli ultimi venti anni la comunicazione di territorio si è basata sulla fotografia, con un progressivo e molto interessante sviluppo della tecnologia e della tecnica che hanno fatto evolvere la qualità nella rappresentazione promozionale dei territori. Oggi, la comunicazione di territorio si basa, sostanzialmente, sull’alta qualità delle immagini prodotte. La “cartolina”, scomparsa dai negozi e dalle tabaccherie delle destinazioni turistiche quale strumento ormai “passato di moda”, è in realtà dominante, con altri scopi, nella comunicazione promozionale dei territori. L’immagine, in questo caso, non ha “il solo scopo di rappresentare il prodotto” (come si dice spesso nei materiali promozionali), ma lo rende visibile e tangibile, almeno così promette, nella sua qualità e unicità.

I territori hanno cominciato a comunicarsi come marca (territoriale) solo negli ultimi vent’anni, proprio parallelamente all’avvento della grande fotografia (pubblicitaria) di territorio e paesaggio. Possiamo dire che la comunicazione di territorio, con qualche lustro di ritardo, insegue le logiche della comunicazione di marca, perseguendo – di fatto – mutate le condizioni e il contesto, i medesimi obiettivi. Nel ritardo e nello scarto fra la comunicazione di marca, più avanzata, e quella del territorio, risiedono interessanti possibilità. Oggi la marca produce discorsi. Chiede alle audience un’adesione alla sua filosofia. La comunicazione di marca, oggi, fa opinione. Concentrandosi su questo valorizza indirettamente il prodotto per cui è chiamata a farsi cantrice. Del resto, come già si legge nella prima tesi del Cluetrain Manifesto, i mercati sono conversazioni. Questo l’effetto del one to one generato dalla rete. Non basta promuoversi. Bisogna muoversi, prendere posizione. Bisogna dire in che cosa si crede. La comunicazione di territorio non ha ancora iniziato – salvo alcune felici eccezioni – a percorrere questa strada sulla quale le marche sono ormai padrone in indiscusso sviluppo. C’era uno spazio vuoto lasciato dalla religione e dalla politica e le marche sono andate a occuparlo. La marca commerciale ha tracciato la strada, i territori possono scegliere di seguirla o meno. I primi territori che lo sapranno fare avranno uno spazio ancora vergine da conquistare e si guadagneranno un vantaggio competitivo sugli altri.

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