Il giornalista nell’universo digitale e nell’epoca della disinformazione

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L’albero delle informazioni

Uno dei principali effetti della rivoluzione digitale nel giornalismo è la completa ridefinizione del rapporto tra il giornalismo e le sue fonti. Prima della rivoluzione digitale il giornalista produceva un racconto tra i fatti/gli eventi e un pubblico ricevente. I giornalisti parlavano con le loro “fonti” e producevano un racconto senza il quale il pubblico non sarebbe venuto a conoscenza dei fatti. 

Tedeschini definisce in questo senso come inevitabili i giornalisti e il loro ruolo.

Oggi non è più così, i giornalisti non sono più inevitabili e indispensabili: quelle che un tempo erano le fonti, oggi possono parlare da sole attraverso i canali digitali. Politici, aziende e cittadini raccontano in maniera diretta, disintermediata, le loro storie. E coloro i quali oggi sono pubblico, domani potranno essere “emittenti”.

Quando Tedeschini Lalli si chiede “che cosa e chi è una fonte? Che cosa e chi è il pubblico?”; la risposta è…dipende. Ciascuno di noi è di volta in volta “fonte”, “selezionatore e comunicatore”, “pubblico”. Questo nuovo stato di cose è irreversibile e porta a una ridefinizione del ruolo del giornalista, genera problemi nuovi (come la protezione delle fonti) ma offre anche nuove opportunità. Con la moltiplicazione dei canali a disposizione il giornalista viene definito dal suo metodo. Criterio centrale del metodo giornalistico è la trasparenza che è la pre-condizione della fiducia che deve generarsi tra il giornalista e il cittadino/lettore. Una sorta di delega che il cittadino dà al giornalista: guarda tu per me, raccontami che cosa accade.

Ma quando il giornalista non è nel posto dove accadono le cose, deve affidarsi a chi c’era, a chi sa. Ed ecco che entrano in gioco le fonti. Tedeschini Lalli spiega così: “nel nostro lavoro di tutti i giorni noi selezioniamo fonti, ne valutiamo la credibilità, ne verifichiamo le informazioni per organizzarle in un racconto. È ovvio che siamo tanto più credibili quanto più sono credibili le fonti che abbiamo selezionato, quanto più è credibile il metodo con il quale le abbiamo selezionate e quanto più quel metodo è trasparente”. La credibilità del giornalista aumenta nella misura in cui il cittadino può ricostruire il cosiddetto albero delle fonti. Il giornalista dovrebbe verificare in ogni occasione la fondatezza e la credibilità delle proprie fonti risalendo egli stesso l’albero delle informazioni per arrivare alla radice.

Sul Testo Unico dei doveri del giornalista al punto 5 del capitolo 9 si legge che il giornalista: “rispetta il segreto professionale e dà notizia di tale circostanza nel caso in cui le fonti chiedano di rimanere riservate; in tutti gli altri casi le cita sempre e tale obbligo persiste anche quando si usino materiali — testi, immagini, sonoro — delle agenzie, di altri mezzi d’informazione o dei social network”

La norma dunque è che la fonte si cita e nei casi in cui si ritenga necessario non citarla, il giornalista è comunque tenuto a indicare che quella fonte ha chiesto la riservatezza. In questo senso, quindi, maggiore fiducia si acquista esercitando la massima trasparenza possibile, maggior fiducia si avrà da spendere per accreditare presso il cittadino una fonte della quale non possiamo e non vogliamo rivelare l’identità.

Non citare le fonti in effetti potrebbe creare problemi allo stesso giornalista se nelle ore o nei giorni successivi si scoprisse che le cose erano imprecise o magari proprio errate. La rivoluzione digitale ha modificato tutto ciò: “il giornalismo che adotta la trasparenza e offre al cittadino la possibilità di risalire l’albero al quale sono appese le informazioni, ha la possibilità di distinguersi da opinioni o ipotesi un tanto al chilo che possono essere presentate dal primo che passa. Può cioè trovare — almeno provare a trovare — una ragion d’essere, anche economica, per l’impresa editoriale giornalistica” spiega Tedeschini Lalli.

Il mondo digitale ci offre, anzi ci sfida e ci obbliga a usare, queste possibilità di approfondimento e di trasparenza che prima non esistevano. Perché le “fonti parlano da sole” con i canali digitali e questo significa che “a un paio di click di distanza dal nostro servizio e dalla nostra inchiesta ci sono o ci possono essere informazioni e documenti che confermano o smentiscono quello che raccontiamo”. Quindi il cittadino si aspetta dal giornalismo l’autorevolezza e la trasparenza che le fonti gli siano indicate, se possibile anche con un link.

E c’è un’altra opportunità, un capovolgimento del punto di vista che Tedeschini Lalli sottolinea: se le fonti hanno la possibilità di parlare da sole, i giornalisti non sono più obbligati a dar loro la parola e il giornalista può “scegliere quali fonti ascoltare, di quali riferire, basando la scelta solo sulla propria professionalità. Resta ovviamente la necessità etico-deontologica di offrire ai cittadini/utenti tutte le informazioni necessarie perché si formino un’opinione, anche quelle che non siano in accordo con il nostro modo di vedere”. Il giornalista può con maggiore libertà scegliere a chi dare la parola perché “limitarsi a reggere il microfono non è mai stato il nostro mestiere”.

C’è poi un discorso che richiama il concetto di verità: nella legge 69 del 1963, fondante la professione giornalistica in Italia, si legge “i giornalisti hanno l’obbligo inderogabile di rispettare la verità sostanziale dei fatti”.

Perseguire la verità significa seguire il metodo giornalistico: verificare le fonti e verificare le informazioni delle fonti. Sentiamo spesso dire che l’informazione giornalistica di qualità è travolta e sepolta dall’informazione un tanto al chilo, dalle fantasie e dalle fake news. Ma la digitalizzazione dell’informazione e la rete offrono strumenti che prima i cittadini non avevano per verificare l’attendibilità di una notizia e di una fonte. Bastano alcuni click. La formazione e la cultura digitale devono diventare fondamentali nella crescita delle nuove generazioni. Bisogna insegnarlo nelle scuole. “Il giornalismo – spiega Tedeschini –  non si limita a verificare i fatti, li scopre, li contestualizza, li spiega, li inserisce in un racconto. Un fatto non è la verità, un fatto è semplicemente un fatto. Ci possono essere fatti scelti ad arte, che opportunamente selezionati e allineati disegnano un quadro non sostanzialmente veritiero: ciò che viene chiamato tendenziosità. Argomento che ci porterebbe verso il tema della disinformazione, l’emissione di dati veri ma… fuorvianti.

I fatti possono essere verificati, le opinioni possono essere solo discusse. 

La verifica giornalistica può applicarsi a diversi ambiti e avere diversi scopi, alcuni dei quali sono diventati formati giornalistici in sé, a volte con redattori dedicati, per esempio:

  • Il fact-checking: cioè la verifica delle affermazioni fattuali di personalità pubbliche, con la comunicazione dei risultati ai cittadini/utenti;
  • Il debunking: cioè la verifica e lo smontaggio di informazioni, spesso di natura fantasiosa e apparentemente straordinaria, che circolano nell’opinione pubblica — le cosiddette bufale.

Una volta che il giornalista abbia in effetti verificato la infondatezza di una informazione è opportuno e doveroso che lo comunichi al pubblico. Il fact-checking prende il nome dai desk specializzati in molti periodici — in particolare stranieri — incaricati di verificare ogni singolo dato e affermazione fattuale contenuta in un pezzo giornalistico (es. i desk di fact checking delle redazioni di Time magazine e del New Yorker).

C’è un detto che i cronisti americani si sentono ripetere da sempre “If your mother tells you she loves you, check it out” il controllo delle informazioni è un obbligo.

Torniamo ai vantaggi della rete: esistono strumenti straordinari per verificare le fonti, come il sito Bufalopedia del giornalista Paolo Attivissimo che a questo indirizzo ha pubblicato un elenco di siti antibufala: tinyurl.com

Alcuni consigli: controllare il sito che dà l’informazione (esistono siti che costruiscono bufale in serie e che hanno nomi che assomigliano a quelli di testate giornalistiche accreditate; controllare la data delle foto e dei video. Certe volte una foto può essere vera, ma si riferisce a fatti passati che non c’entrano niente con il contenuto informativo dell’articolo. Ci sono tanti strumenti per farlo. Per esempio, su Google c’è la possibilità di fare la ricerca immagini a partire dall’immagine stessa, verificando la data della sua pubblicazione. 

Per verificare video di YouTube possiamo controllare — per esempio — su una pagina speciale del sito americano di Amnesty International : basta caricare l’indirizzo web (URL) del video per ottenere alcune informazioni essenziali: le più importanti sono la data e l’ora nelle quali il video è stato caricato. 

Esiste poi il “Verification Handbook” dello European Journalism Center, un manuale gratuito per la verifica delle notizie in rete, qui nella versione italiana. A questa pagina (www.bbc.co.uk) dedicata alla verifica online delle fonti, curata dalla BBC Academy, ci si concentra in particolare sul materiale informativo prodotto dagli utenti (User Generated Content – UGC).

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