Il Diritto alla comunicazione

Pilastro di inclusione sociale 

Comunicazione dal latino cum = con, e munire = legare, costruire; e dal latino communico = mettere in comune, far partecipe.

Il processo e le modalità di trasmissione di un’informazione da un individuo a un altro (o da un luogo a un altro), attraverso lo scambio di un messaggio elaborato secondo le regole di un determinato codice.  (Giuliano Vigini, Glossario di biblioteconomia e scienza dell’informazione, Editrice Bibliografica, Milano 1985, p. 38).

Comunicare, originariamente, valeva anche per amministrare il sacramento dell’Eucarestia, facendo così partecipare il cristiano alla mensa celeste.

La comunicazione è informazione; la pubblicità è creatività; la promozione è commercio.

Tutte e quattro possono essere ricerca. Sono una unità nella molteplicità. Sono motori che compartecipano allo sviluppo strategico dei processi di innovazione digitale nella funzione pubblica e privata dei sistemi complessi quali le società contemporanee. La necessità appare oggi quella di togliere, ovvero governare in una riduzione controllata, l’attuale per produzione di messaggi. È necessaria una nuova e più consapevole educazione delle audience, delle collettività e degli individui, all’utilizzo degli strumenti e a una loro conoscenza più profonda. 

Al medesimo tempo, di fianco a un miglior utilizzo – anche più parsimonioso – della miriade di strumenti e azioni a nostra disposizione per comunicare, appare necessario formare uno spirito critico più forte per maneggiare in maniera non totalmente passiva le retoriche pubblicitarie, sia della comunicazione di marca, sia della comunicazione politica che oggi costruisce consenso con le stesse logiche e con le stesse strategie della prima. Si tratta di dispiegare il valore etico della comunicazione attraverso la sua conoscenza in strati sempre più ampi della popolazione e della società civile. 

Si tratta di rendere la scienza della comunicazione, in un mondo che ha fatto delle ICT uno dei perni della sua civiltà, una materia di insegnamento fin dalla scuola primaria.

Si auspica una nuova ecologia comunicativa, nella quantità e nella qualità: una comunicazione sostenibile, che non sia invasiva e ipertrofica; una comunicazione inclusiva, che non reiteri gli stereotipi (anche soprattutto di genere); una comunicazione aperta e accessibile, che faccia spazio alla differenza e alla pluralità e che dia spazio al pensiero critico e all’interpretazione; una comunicazione sicura, che tuteli per davvero la privacy.

Si tratta di rendere la comunicazione una materia di studio, si tratta di stimolare e costruire dibattito a proposito della comunicazione. Auspicabili i format, soprattutto se ospitati sui media tradizionali e sulle reti generaliste, che si occupano di comunicazione trattandola nel suo statuto di disciplina e rendendola più intellegibile. Un esempio è TV Talk su Rai 3.

Affianco alla sfida di allargare al grande pubblico la cultura della comunicazione (e di conseguenza la comunicazione anche come cultura) ve ne è una ancora più grande: il digital divide. Su questo piano si gioca una porzione consistente del vero progresso delle società contemporanee. Con la massiccia penetrazione delle tecnologie digitali il rischio di acuire le disuguaglianze sociali è concreto creando una polarizzazione fra “IN e OUT”, fra chi è dentro e inserito (più o meno a proprio agio) nella semiosfera digitale e chi rimane fuori e marginalizzato. 

Si rischia la polarizzazione a cui abbiamo assistito nel Medioevo: dentro il monastero, nel mondo della cultura del libro, i libri e, appunto, il potere; fuori dal monastero tutto il resto, gli esclusi nell’indistinto. Così oggi, nel mondo della cultura digitale, il rischio è di condannare, in assenza di formazione e facilitazioni – molti cittadini fuori dalla Storia. Si tratta quindi di sancire giuridicamente un nuovo diritto: il diritto alla comunicazione.

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