Studiowiki al convegno “Il futuro che non ci aspetta. La comunicazione nell’era delle contaminazioni”

Venerdì 24 marzo a Cornuda, in provincia di Treviso, un convegno dal titolo davvero affascinate Il futuro che non ci aspetta. La comunicazione nell’era delle contaminazioni. Ad organizzare questo appuntamento è stata UNICOM, L’Unione Nazionale delle Imprese di Comunicazione, con la collaborazione di alcune agenzie associate del Triveneto: Pallino.it; O-Zone.it; Aquattroadv.com; Ovostudio.it; Sintesi Comunicazione.

Ma non solo titolo e temi affrontati durante la giornata di studio sono stati di grande interesse. Una menzione tutta speciale va riservata certamente al luogo che ci ha ospitati: la Tipoteca Italiana. Davvero una bella scoperta e un posto che meriterebbe di essere conosciuto non solo nel ristretto gruppo di designer e tipografi ma anche dal grande pubblico. Passa infatti per quelle sale un pezzo della grande storia e tradizione dell’occidente. Parliamo, l’avrete capito, della stampa a caratteri mobili. Parola che fa subito tornare alla mente gli anni di scuola, con Gutemberg e gli Incunaboli, la Bibbia di Magonza e quell’Aldo Manuzio, editore, umanista e soprattutto – non dimentichiamolo – tipografo che operò cinquecento anni or sono nella Repubblica di Venezia.

La Tipoteca è gestita dalla T.I.F., una Fondazione, creata grazie alla passione delle Grafiche Antigua, polo tipografico tutt’oggi operante ai massimi livelli nazionali e internazionali, che conta oltre 200 dipendenti e clienti da ogni parte del mondo. La Tipoteca è certamente museo e archivio ma anche biblioteca, stamperia, galleria e auditorium. Nelle sue sale i visitatori hanno l’occasione di scoprire e sperimentare la bellezza dell’arte tipografica. Qui viene conservato, raccontato, riutilizzato un patrimonio di sapere e tradizione artistica e artigiana senza pari.

Tipoteca conserva, Tipoteca racconta, Tipoteca fa. Grazie a visite, laboratori, mostre temporanee e incontri, Tipoteca stimola il dialogo tra passato e contemporaneità della rivoluzione culturale che ha segnato gli ultimi cinque secoli: la stampa.

Molti sono i laboratori didattici organizzati per le scuole. Ma ci sentiamo di caldeggiare una visita e magari raccomandare un laboratorio da concordare con il personale del museo a tutti quei professionisti della comunicazione, grafici, designer, art director, direttori creativi e non solo che vogliano scoprire e capire cosa significasse la stampa prima della rivoluzione digitale. Certamente, pensiamo, saranno colti, come l’estensore di questo articolo, da un vago piacere dello straniamento nel provare il tempo lungo, anzi lunghissimo, della composizione della pagina attraverso l’arte tipografica o quella xilografica o, ancora, quella calcografica e litografica.

Durante il pranzo consumato nel grazioso ristorante della tipoteca, parlando con i responsabili, scopriamo che annualmente giungono gruppi in visita dalla Corea del Sud e dall’Australia. Viaggi organizzati da luoghi lontani per scoprire la nostra tradizione. Una storia, non certo minore, sui sentieri, questi si, forse, di un’Italia minore, che noi, troppo abituati alla bellezza sino alla sua banalizzazione ci dimentichiamo di possedere.

Ma veniamo al convegno.
L’ auditorium della Tipoteca è gremito e gli intermezzi musicali tra un intervento e l’altro alleggeriscono e al medesimo tempo invitano all’ascolto e alla concentrazione.
Si parla di futuro.
Di quello che ci attende, naturalmente, ma con il monito, magistralmente espresso dalla retorica del titolo, che non ci aspetterà. Dovremo essere noi a costruirlo.
Il cambiamento è una delle poche stabili certezze di questi nostri tempi e mai come in questo momento di contaminazioni sociali, culturali, linguistiche ed economiche è d’obbligo chiedersi dove ci porterà la liquidità di queste società.
Del convegno va certamente segnalato e apprezzato, benché a tratti forse eccessivo, il piglio contaminatore. Si passa con facilità, ma mai con leggerezza, dalla previsione degli scenari possibili, all’incontro – forse non così inedito come lo si è voluto presentare – tra arte e impresa. Senza tralasciare le modalità di comunicazione della scienza, si badi non di divulgazione delle scoperte presso il grande pubblico, ma di promozione dei piani della ricerca presso gli enti finanziatori; o le comparazioni fra teoria della comunicazione e sviluppo cellulare finalizzato alla ricerca biomedica della farmacopea.
Insomma, per un pomeriggio abbiamo assistito all’incontro e al confronto tra professionisti e professionalità differenti. Futurologi, scienziati, esperti di comunicazione, di nuove tendenze, innovazione tecnologica e design si sono incontrati per riflettere ognuno dal proprio punto di vista sui cambiamenti in atto, evidenti, latenti e comunque inesorabili.
Certamente da segnalare l’intervento di Fabio Fassone, responsabile marketing e comunicazione del Maggio Musicale Fiorentino, con una prospettiva orientata al qui ed ora. Che è, poi, l’unica dimensione possibile dell’esecuzione musicale. A fare il paio, quasi il verso verrebbe da dire, l’intervento di Andrea Maragno, designer: con la nuova era del design è l’adesso.

Degno ancora di nota, l’ultimo intervento della giornata, di Federico Rossi, amministratore di Sintesi Comunicazione, una delle imprese Unicom che hanno contribuito all’organizzazione e alla promozione del convegno.
Con l’ormai consueto piglio cinico e indagatore, felicemente smisurato nelle sue verticalità tassonomiche, ci ha spiegato e intrattenuto, è davvero il caso di dirlo, con venti parole che connoteranno l’epoca del cambiamento. Il novello Isidoro di veneta terra, sono certo che ci permetterà​ e perdonerà la simpatica irriverenza, ci saluta ad effetto: con un cuore. Che a chiusura ci pare il miglior invito possibile: fate, fate, ma fate con passione.
Sulla via del ritorno un libro che da tempo mi seguiva si fa ritrovare – inaspettato – sugli scaffali della libreria della stazione di Treviso. Danubio di Claudio Magris. Una promessa di altri viaggi tra futuro presente e passati futuri da questa terra che parla già di mitteleuropa.

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