Quello tra un territorio e i suoi sapori è un rapporto inscindibile: nei prodotti tipici di qualsiasi regione italiana ritroviamo saperi e tradizioni antiche, strettamente legati alla storia e alle caratteristiche geografiche e culturali del luogo.
La valorizzazione dei prodotti enogastronomici locali procede dunque in parallelo con la promozione turistica del territorio di provenienza. Abbiamo chiesto a Linda Nano, esperta del mondo enogastronomico, sommelier e project manager di MADE, di aiutarci a identificare esempi virtuosi in cui il marketing territoriale incontra felicemente il marketing di prodotto, con una ricaduta positiva sia sul comparto turistico che su quello agroalimentare.
Con le preziose indicazioni di Linda facciamo la prima tappa del viaggio di INova, che affronterà in questo mese il rapporto tra gusto e territorio. Ad accompagnarci, come sempre, le illustrazioni di Valeria Morando. Sveleremo la sua ispirazione a fine mese: voi l’avete riconosciuta?
Non potevamo raccontare tutto il bello e il buono della nostra Italia. Abbiamo scelto tre regioni, rappresentative del nord, del centro e del sud. Ci perdonerete la parzialità. E anzi, segnalateci altre belle storie che non conosciamo e che potremo raccontare nei prossimi numeri, all’indirizzo e-mail inova@studiowiki.it.
Indice dei contenuti:
Nord Italia: Valle d’Aosta
La Valle d’Aosta è una regione dal territorio impervio ma ricca di vitigni pregiati, molti dei quali autoctoni: qui il Consorzio Vini Valle d’Aosta, nato nel 2022 dal precedente lavoro di valorizzazione della Vival (Associazione Viticoltori Valdostani) e che oggi rappresenta con i suoi aderenti circa il 97% della produzione regionale di vino DOC, insieme ai produttori locali, mette in atto uno sforzo congiunto importante nel recupero dei vigneti e dei terrazzamenti abbandonati, tutelando e preservando al contempo sia la produzione vitivinicola locale che l’unicità del suo territorio.
La viticoltura valdostana si caratterizza per la forte parcellizzazione aziendale in un contesto di viticoltura eroica, con conseguenti difficoltà di lavorazione e costi di mantenimento onerosi. Per questo il lavoro umano necessario alla produzione del vino acquisisce qui un valore ancora maggiore.
Fiore all’occhiello della regione è il rinomato IAR l’Institut Agricole Régional di Aosta, dove dal 1951 si forma la maggior parte dei giovani viticoltori valdostani; molti dei quali, forti di successive e prestigiose esperienze all’estero, sono poi ritornati in valle, prendendo in mano le redini delle aziende di famiglia. Una nuova generazione di produttori, spesso biologici o biodinamici, chesi sta distinguendo per il suo lavoro di altissima qualità, sia in vigna che in cantina.
C’è Nicolas Ottin, figlio del celebre produttore Elio Ottin, che oggi lavora al suo fianco, forte di importanti esperienze prima in Nuova Zelanda e poi in Borgogna. O Henri Anselmet, nipote di Renato Anselmet e figlio di Giorgio Anselmet, due mentori della viticoltura valdostana, che attraverso la sua piccola azienda chiamata La Plantze sta contribuendo a cambiare il volto della produzione regionale, con vini dalla forte identità.
Il recupero dei vitigni autoctoni e dei vigneti procede di pari passo con la valorizzazione della destinazione, connotando i prodotti con un’identità fortemente territoriale. Spiega Linda Nano: “I vini diventano espressione autentica del terroir, con una visione legata indissolubilmente alla qualità e alla preservazione.”
In un contesto produttivo così complesso e parcellizzato, in cui non tutte le aziende hanno potuto operare un ricambio generazionale, le cooperative giocano un ruolo fondamentale. Un buon esempio in questo senso è la Caves Cooperatives de Donnas, nata nel 1971 con il primo vino Doc della regione, appunto il Donnas. Quando l’avanzare dell’età non permette più ai soci di occuparsi in autonomia dei propri vigneti eroici, la cooperativa se ne prende carico attraverso il lavoro di altri aderenti, sempre in un’ottica di mantenimento e tutela.
Il comparto vinicolo valdostano condivide una visione identitaria forte e collettiva, che permette di impostare un ragionamento di valorizzazione turistica serio e coerente con il futuro del territorio.
Centro Italia: Valdarno
Un caso toscano particolarmente interessante è quello del Consorzio Valdarno di Sopra DOC. Si tratta dell’unica denominazione e dell’unico consorzio in Italia in cui tutti i soci e anche gli “erga omnes” (coloro che rivendicano la doc ma non aderiscono al consorzio) sono certificati biologici.
In quest’ottica comune di tutela della produzione e del territorio, nel 2018 il Consorzio aveva richiesto di poter inserire nel proprio disciplinare l’obbligatorietà della certificazione bio, ma questa modifica non era stata concessa.
Nel 2021 in Europa si è però verificato un precedente: il consorzio spagnolo della D.O. Cava ha chiesto e ottenuto l’inserimento nel suo disciplinare di una norma che prevede, per le tre fasce di produzione più alte della denominazione, l’obbligatorietà di utilizzo di uve provenienti esclusivamente da vigneti certificati biologici. L’Unione Europea, davanti a questa modifica, non ha fatto alcuna obiezione o procedura d’infrazione. Al contrario, ne ha applaudito l’inserimento, coerente con la direzione dell’Agenda 2030.
Nel 2023, forte di quanto accaduto in Spagna, il Consorzio Valdarno di Sopra DOC ha quindi presentato una nuova e analoga richiesta per i propri vini “Vigna”, realizzati solo con uve provenienti dai migliori vigneti aziendali iscritti e controllati attraverso uno specifico albo di Regione Toscana.
Di recente il sottosegretario all’agricoltura Patrizio La Pietra ha annunciato che il MASAF ha deciso di concedere questa modifica: d’ora in poi i vini “Vigna”, punta qualitativa della Doc Valdarno di Sopra, potranno essere realizzati esclusivamente con uve provenienti da vigneti certificati biologici.
È necessario attendere ancora i tempi tecnici del Ministero per la formalizzazione dell’atto, ma il Consorzio Valdarno di Sopra DOC sarà il primo in Italia e il secondo in Europa ad avere in disciplinare una norma simile. Un obiettivo importante, raggiunto grazie a una visione di territorio coesa e coerente: il Consorzio persegue questo obiettivo fin dalla sua costituzione, in un’identità di vedute e con la piena collaborazione di tutte le sue cantine, dalle più piccole alle più famose. La coesione delle aziende intorno a questi obiettivi è un valore enorme, non solo sul piano produttivo: in Valdarno di Sopra, infatti, il distretto rurale locale che riunisce ben 11 comuni del territorio si è appena trasformato in distretto biologico. “È attenzione al tema della sostenibilità, e che crea valore anche dal punto di vista turistico. Sia per chi produce, sia per chi il territorio lo abita e anche per coloro che lo visitano.” – chiosa Linda Nano.
Sud Italia: Calabria
Spostandoci a Sud, un lavoro importante nella valorizzazione parallela di prodotti tipici e territorio è stato fatto in Calabria, in particolare nella zona del Parco Nazionale del Pollino.
L’unico Presidio Slow Food della regione, nella categoria vino e vitigni, è il Moscato di Saracena, prodotto dalla storia centenaria, realizzato da eccellenze locali tra cui la famosa Cantina Viola. Anche grazie al Presidio, negli anni su questo territorio ha preso le mosse un progetto più esteso, con la creazione del portale Vinocalabrese.it: la piattaforma, nata nel 2008 su iniziativa di Giovanni Gagliardi, da luogo virtuale d’incontro tra produttori, consumatori e operatori del settore è diventata una fucina di iniziative per il comparto vitivinicolo regionale. Sempre in ottica di ri-valorizzazione del territorio, aspetto fondamentale nel complicato contesto ambientale della Calabria.
Altro esempio virtuoso è quello del Cirò, vino calabrese Doc dal passato millenario, prossima prima Docg della regione, che ha visto nascere la Cirò Revolution: un movimento spontaneo di giovani vignaioli, biologici e biodinamici, che ne stanno esaltando l’artigianalità, recuperando gli antichi metodi di vinificazione. Una nuova corrente di produttori caparbi e orgogliosi che hanno scelto di ripartire dalla propria terra d’origine con una filosofia di resistenza e riscatto, per dare nuova linfa a uno dei patrimoni enologici italiani, fatto di varietà locali e paesaggi ambientali e culturali unici nel loro genere.
Anche per quanto riguarda il settore alimentare, la Calabria è ricca di progetti interessanti e dalla profonda impronta identitaria, come quello del Presidio Slow Food del capicollo azze anca grecanico. Un salume dalla lavorazione particolarissima, che prevede una marinatura e una lunga stagionatura, affondando le sue radici culturali nelle tradizioni della minoranza linguistica ellenofona regionale. Una comunità viva, che si ritrova in alcuni borghi dell’entroterra, dove ancora oggi si parla un dialetto simile a quello che i contadini e i pastori locali impararono dai greci antichi. Cultura, prodotto e territorio si incontrano nuovamente.
Conclusioni
Ogni regione italiana può vantare prodotti tipici, irripetibili al di fuori del loro territorio di provenienza. Quelli che abbiamo incontrato oggi sono solo alcuni esempi di strategie efficaci che possono valorizzare al tempo stesso i prodotti enogastronomici e il loro luogo d’origine.
Nella promozione delle destinazioni turistiche, tenere presente il forte legame con i prodotti tipici, progettando una comunicazione sinergica e ragionata è un’opportunità importante. Sia per il comparto turistico che per il tessuto produttivo locale.
L’Italia è servita: sorsi e bocconi di bellezza, gusto e cultura, per una strategia di promozione integrata e sostenibile, a beneficio dell’economia, delle persone, dei territori. Il modo migliore di valorizzare le nostre eccellenze è riconoscerle, al di là di ogni opportunismo politico, per ciò che sono realmente: il patrimonio memoriale e identitario che ci permetterà sempre di costruire il futuro. Perché sono ciò che siamo. Anche quando non ce ne accorgiamo.