Destination branding

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Partire già con uno sguardo: brand che raccontano le destinazioni

Tutte le città e tutti i territori che diventano o vogliono diventare destinazioni hanno bisogno di un brand, un marchio che racconti la propria identità. Perché le città – come ipotizzava Italo Calvino – non sono solo luoghi, ma racconti complessi ed esperienze. 

Forme, linee, colori e payoff che si legano a doppio filo all’idea e alla promessa che la destinazione fa al suo turista (prospect). I marchi turistici hanno direttamente a che fare con reputazione, considerazione e aspettative.

Il destination branding è l’insieme delle analisi e delle strategie che hanno come obiettivo proprio questo. Con una grande e profonda attenzione al contesto.

Occorre un buon logo ma anche intraprendere una serie di azioni coordinate e di lungo termine che identificano e posizionano un luogo in relazione con le persone residenti e i suoi potenziali turisti. Come dice Carlo Petrini: “partire dai cittadini residenti, dalla loro capacità di essere felici e dalla cura verso la loro terra, i turisti arriveranno di conseguenza”. 

Così I love NY è oggi un vero e proprio brand universalmente riconosciuto, penetrato in maniera così forte e riuscita che non comunica solo la NY turistica, ma l’essenza stessa della città, del mood New York e dell’essere newyorkesi. Dalle stampe sulle magliette a quelle sulle tazze, dai cappellini agli accendini. Il cuore rosso e le tre lettere nere sono oggi, al pari di quello della Apple o di Coca Cola, un marchio impossibile da non riconoscere. 

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La storia di I love NY è molto interessante. 

Nel 1977 per risollevare il destino di New York, che aveva moltissimi problemi economici e sociali, il New York State Department of Economic Development decise di affidarsi all’agenzia Wells Rich Greene per sviluppare una campagna che rilanciasse il turismo a New York. L’idea venne a Milton Glaser, giovane designer, sopra un taxi. Uno schizzo veloce, solo una bozza di idea per quella che doveva essere una campagna di due mesi. 

Oggi, dietro a questo brand c’è l’intera NY con le sue meraviglie e le sue debolezze, con la sua paura e il suo coraggio. Dopo l’11 settembre, lo stesso Glaser ha lanciato un nuovo messaggio proprio utilizzando il suo logo: il cuore ha una bruciatura nera e un payoff “more than ever”. 

Ma è l’uovo o la gallina? Se New York oggi è come la conosciamo è anche merito di quello schizzo sul taxi, merito di quella campagna che ha saputo fare di I love New York il perno centrale per il suo rilancio. I love New York ha saputo interpretare lo spirito del tempo, il sentimento – con il grande cuore rosso – la voglia di riscatto e l’orgoglio dei newyorkesi. 

La brand ha trainato la città e la città ha trainato il suo brand facendone il logo più imitato in moltissimi contesti. Non ottenendo ovviamente alcun risultato: non basta copiare un’idea per replicarne il successo. Ovunque, il lettering nero, l’estrema pulizia e il cuore rosso parlano e parleranno solo di New York. 

La vocazione “aperta” delle città europee è stata ben interpretata dal city brand di Copenhagen, sfilando il concetto chiave dal suo stesso nome: città aperta, multiculturale, multietnica, e soprattutto open for you, come recita il pay off.

Il richiamo alla persona e al pluralismo dei punti di vista con cui si può osservare Amsterdam ha guidato il marchio I AMsterdam, progettato dall’agenzia di comunicazione Kesselskramer nel 2004, invitando ognuno a identificarsi con la città attraverso un’immagine unica ma semanticamente aperta. Semplicemente perfetto!

Si potrebbero fare molti esempi in un viaggio intorno al mondo. Messaggi che devono, ricordiamolo, parlare una lingua universale. E in Italia? Recentemente, la città di Bologna ha seguito una diversa modalità, sviluppando attraverso un bando, non un unico marchio ma un intero alfabeto di simboli realizzati da Matteo Bartoli e Michele Pastore a partire da una selezione di archetipi figurativi della città liberamente interpretati (la cinta muraria, il mattone mosaico, la croce e il giglio del gonfalone, il rombo dello stemma antico). Si producono così, su un’unica matrice, variazioni continue ma sempre riconoscibili del marchio, un logo ogni volta diverso per ogni concetto che si vuole esprimere ma che nell’insieme rappresenta sempre l’idea portante: “è Bologna”.

Chiudiamo questo breve (e incompleto) viaggio attraverso il city branding nella città della Lanterna con “Genova more than this” uno dei casi più avanzati di diffusione del brand – realizzato dalla nostra Valeria Morando – nel tessuto sociale, economico e

culturale del capoluogo ligure.

“Abbiamo pensato di non identificare la città con un logo che riprendesse solo un aspetto visibile della città di Genova, abbiamo semplicemente scritto il suo nome senza rivelarlo completamente, lasciando alcune parti nascoste. Perché Genova si rivela a piccoli passi e quando lo fa è sempre di più di quanto lasci immaginare”. More than this.

Negli ultimi anni Genova ha raggiunto un posto di rilievo fra le più importanti destinazioni turistiche italiane, in particolare fra le città d’arte sul segmento del city break. Come si legge nella pagina dedicata sul sito istituzionale, era importante che il brand Genova si definisse in modo efficace e preciso attraverso le sue caratteristiche identitarie e le sue potenzialità. 

Il Comune di Genova ha colto l’occasione offerta dalla progettualità europea Urbact City Logo avviando questo percorso che ha visto una serie di azioni di promozione e diffusione del logo e del suo utilizzo anche attraverso i vari soggetti del mondo economico, turistico e culturale della città. 

Perché un marchio turistico non è solo dell’Istituzione o dell’amministrazione con cui nasce, e non è neanche dei suoi turisti, attuali o potenziali. È anche e soprattutto dei cittadini residenti e di coloro che la città la vivono, giorno dopo giorno.

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