Sull’etica, la verità e la creatività nella (e della) relazione pubblica, alcune note.
Etica. Einstein diceva: “dio non gioca a dadi”. Facendogli il verso si potrebbe dire “Dio non fa pubbliche relazioni, gli uomini sì”. Ciò mi pare la caratteristica fondamentale dell’uomo, indipendentemente dal credere o non credere ad un essere supremo che distingue l’umano dal divino, almeno per il significato che il primo ha storicamente attribuito al secondo. La caratteristica peculiare di Dio è quella di essere immobile nella sua irrelazione (non relazione). Dio non risponde; noi uomini sì. Uno dei nostri tratti distintivi è proprio quello di fare e avere relazioni; del resto siamo animali sociali, ovvero relazionali. Costitutiva dell’essenza della persona umana e della nostra esperienza nel mondo è proprio la relazione.
Il Covid-19 ci ha messo tutti più distati, ma nello stesso tempo ci ha fatto vedere, provare e sperimentare – e ci ha ricordato – la nostra totale interdipendenza. La centralità della relazione è venuta fuori con maggior forza, è venuta fuori come azione, come fatto sostanziale e fondante l’essere umani (non l’essere umano, si badi). La relazione è la peculiarità del nostro essere umani, del nostro essere persone. Tra io e altro, in quella misura della vicinanza, della prossimità, della compenetrazione e della cooperazione, dell’implicazione reciproca che questa pandemia ci ha fatto sentire con più forza, si dispiegano e svelano le infinite possibilità e potenzialità del futuro. Sulla relazione, tra persona e persona e – di conseguenza – tra persona e ambiente, si gioca il ruolo della nuova etica. Ecco che allora il soggetto sembra essere possibile nel suo realizzarsi solo in funzione della relazione con l’altro da sé.
Una relazione aperta all’etica. Anche all’etica della comunicazione: qualità, valori, utilità, rilevanza, empatia diventano tratti fondamentali per una buona comunicazione e per fare cultura della comunicazione, soprattutto nelle relazioni pubbliche. È l’etica della relazione in senso esistenziale che va a sostanziare la relazione anche in senso professionale, facendo diventare l’etica una deontologia. La deontologia delle relazioni pubbliche.
Verità. Da alcuni giorni i grandi elettori americani si sono definitivamente espressi: Biden è il presidente. Credo che in questa battaglia delle presidenziali USA a cui abbiamo assistito dai primi di novembre si sia anche giocata una battaglia fra due idee profondamente diverse di relazione pubblica. L’idea trumpiana, che tutti abbiamo visto esser portata avanti in questi ultimi 4 anni, comprese le censure che i social network, da Twitter in poi, hanno dovuto applicare ai suoi messaggi; e l’idea di relazione pubblica portata avanti da Biden. Il Biden che fu vice presidente di Barak Obama, e che ha permesso a quella amministrazione di varare la famosa riforma sanitaria, finalmente più inclusiva. Quel piccolo miracolo è stato possibile solo grazie ad una grandissima capacità di dispiegare la relazione pubblica, l’ascolto, la sintesi. A farlo fu proprio Biden. Io credo che nell’esempio del neo eletto presidente, e nella scelta che l’America ha fatto votandolo, ci sia dentro un’indicazione per il nostro mondo, per il mondo della comunicazione più in generale, ma anche delle relazioni pubbliche: ovvero che dall’America può iniziare un percorso di ridimensionamento dei populismi e della falsa comunicazione. Delle fake news instillate ad arte nel sistema dei media. Questo ci deve spingere – sia come comunicatori, sia come cittadini – a un ragionamento profondo sulla nostra deontologia e quindi anche proprio sulla necessaria nuova etica della relazione pubblica, in USA come qui da noi.
Creatività. Penso possa esistere relazione, e quindi possano esistere le relazioni pubbliche, senza la creatività; al contrario, sono convinto non possa esistere la creatività senza le relazioni, proprio perché il presupposto fondamentale della creatività (del pensiero creativo) può vivere solo ed esclusivamente grazie alle relazioni, ovvero grazie alla relazione con qualcosa o con qualcuno che non è se stesso, con qualcosa che è altro da sé. Tutto quello che possiamo pensare, come creativi e come pubblicitari, e di fatto come uomini, lo possiamo fare solo in rapporto con qualchecosa d’altro da sé; la relazione permette – di fatto – lo svolgersi e il dispiegarsi del pensiero creativo, che è alla fin fine, se vogliamo, un pensiero dialettico. È proprio nella dialettica del pensiero che si esprime nella sua potenza maggiore la possibilità della relazione.