Per approfondire il tema del Tourism Digital Hub, abbiamo interpellato Stefan Marchioro, che dal 1990 opera in ambito turistico, dal punto di vista professionale ma anche sul versante della ricerca e dell’insegnamento universitario, e attualmente si occupa di progetti territoriali e governance del turismo nella Direzione Turismo della Regione Veneto.
Con la sua profonda esperienza nel settore, Marchioro ha seguito da protagonista, e non solo da osservatore, l’evoluzione del TDH. A lui abbiamo chiesto di ripercorrerne le fasi di sviluppo e di applicazione e di darci le sue valutazioni e una visione verso il futuro.
Come è nata l’idea del Tourism Digital Hub in Italia?
Il TDH è frutto di un’iniziativa nata nell’ambito del Piano Strategico del Turismo in Italia 2017-2022. Quel momento di programmazione è stato forse uno dei più significativi in ambito turistico a livello nazionale che io ricordi. Ha avuto alla base un vero processo partecipativo che ha coinvolto tutti i principali ministeri (quindi non solo l’allora MIBACT), Regioni, enti locali, associazioni di categoria, organizzazioni sindacali, mondo universitario. In quel contesto proponemmo l’idea del DMS Italia (Destination Management System), partendo dall’esperienza di alcune regioni, tra cui il Veneto, l’Abruzzo e il Trentino.
Il Veneto è stata quindi una delle regioni pilota, che hanno fatto da apripista per lo sviluppo del TDH. Qual è stato il percorso?
Già nel 2016 Regione Veneto aveva adottato il DMS Deskline 3.0 di Feratel: un software di back office per la gestione integrata di tutte le funzioni tipiche di una destinazione, dall’informazione all’accoglienza, dalla promozione alla commercializzazione. Il Piano Attuativo del Piano strategico del Turismo ha affidato alle Regioni un’azione pilota per implementare il DMS Italia. Capofila dell’iniziativa furono Regione Abruzzo e Regione Veneto, supportate dalle rispettive società in house, Abruzzo Innovatur e Veneto Innovazione. Abbiamo analizzato il benchmark di diverse regioni europee, prodotto una versione beta di un motore aggregatore e consegnato al Ministero un capitolato tipo per consentire alle Regioni di dotarsi di un DMS. In periodo post Covid, dopo diverse tappe, il progetto del DMS Italia è stato inserito nel PNRR come misura a sostegno della ripresa del turismo e come strumento di organizzazione dal basso dell’offerta turistica nazionale.
Come Regione Veneto abbiamo sottoscritto tra le prime il protocollo d’intesa con il Ministero per dare attuazione al progetto del TDH.
Il suo è sicuramente un punto di vista privilegiato per dare una prima valutazione di questo TDH. Può dirci cosa ne pensa?
Il Tourism Digital Hub è forse la partita più importante per lo sviluppo turistico italiano, ma al momento presenta un forte limite. La sua struttura organizzativa e la logica punto a punto, propria di un ecosistema digitale, sembrano trascurare il fatto che l’offerta turistica va organizzata dal basso, a livello di destinazione.
La tecnologia è uno strumento, non un fine. Per questo il TDH può avere successo solo se alimentato dal basso, con una strutturazione dell’offerta e delle esperienze a livello di destinazione.
Un DMS induce e presuppone organizzazione, non è un assemblaggio di software, è un concetto, un approccio gestionale. Per questo le destinazioni turistiche devono essere incentivate a organizzarsi e a utilizzare la tecnologia come supporto, puntando sull’interoperabilità.
Questo come si traduce in modo più concreto?
Il DMS è un sistema molto semplice. Sostanzialmente è un grande contenitore in cui si possono caricare eventi o esperienze, che vanno a implementare il sito locale, il sito di area vasta, il sito della DMO (Destination Management Organisation), il sito regionale e Italia.it. Non bisogna però illudersi che esponendo l’offerta del singolo operatore sul TDH questa sarà poi aggregata sul portale Italia.it. Intanto perché il portale nazionale – come quello di una regione come il Veneto, che è a sua volta una sommatoria di grandi destinazioni – è un hub verso le destinazioni stesse e i loro portali e perché poi dipende molto dal tipo di turista che abbiamo di fronte. A Italia.it, in fase iniziale, si rivolge soprattutto un pubblico remoto, proveniente magari dagli USA, dalla Cina o dal Giappone, solo per fare un esempio, per cui la macro-destinazione è l’Europa o l’Italia nel suo complesso. Per questo l’offerta va strutturata al livello di destinazione territoriale ed esposta grazie ai sistemi DMS sulle piattaforme dei diversi livelli di destinazione. Il sistema va organizzato dal basso. Non dal singolo, ma dalla destinazione.
In questo contesto, come dovrebbe funzionare quindi l’alimentazione del TDH?
A regime non dovremmo più avere una grande redazione centrale che si occuperà di rivisitare e correggere i testi in ottica di posizionamento SEO. La chiave di volta è l’interoperabilità, che permette di flaggare l’evento o l’offerta come di valenza nazionale, evitando la duplicazione degli sforzi organizzativi e finanziari e implementando, dal basso, diversi livelli di destinazione. È questa la sfida vera, per arrivare a una grande redazione diffusa, in cui però sia “il grande a guidare il piccolo”. Dando le giuste linee guida alle destinazioni si arriverà così a una produzione di contenuti selezionata e di maggior qualità.
È inoltre importante sottolineare che un portale come Italia.it non potrà avere un ruolo nella commercializzazione diretta del prodotto turistico, ma sarà solo una grande vetrina che porterà a concludere l’acquisto delle esperienze sul sito della destinazione, o di una rete di imprese o di un club di prodotto che interagisce usando lo stesso DMS.
Tirando le somme, qual è la sua visione per il futuro del TDH e dell’organizzazione turistica in Italia?
Il TDH è una grande occasione per favorire un approccio di destination management diffuso in Italia e per digitalizzare l’offerta turistica delle destinazioni, ma occorre investire nei territori, strutturare le DMO, dotarle di capitale umano e favorire l’interoperabilità. La tecnologia da sola non basta: è uno strumento che deve essere integrato in un contesto di organizzazione e gestione efficace delle destinazioni turistiche italiane.
Mi pare che il Ministero stia finalmente comprendendo questa necessità e stia puntando sulla piena interoperabilità per un salto qualitativo nell’organizzazione turistica e digitale del paese. Lo conferma la gara a livello nazionale, a valere sui fondi delle Politiche di Coesione, con cui 5 regioni (Liguria, Campania, Molise, Sicilia e Sardegna, ndr) sono state dotate di un Destination Managment System. L’importante è però essere consapevoli che aver dotato queste regioni della tecnologia non basta, se non si investe in organizzazione e gestione delle destinazioni, se non si favorisce la strutturazione di vere DMO, se non si investe in capitale umano e poi in interoperabilità. Perché il DMS Italia abbia successo non ci sono scorciatoie: bisogna investire sui territori, strutturare le DMO e dotarle di capitale umano adeguato dal punto di vista dei numeri e delle competenze. Solo così il sistema riuscirà ad essere efficace e sostenibile nel futuro.