Montagna in bilico. Da rifugio a destinazione

Storicamente, la montagna è stata percepita come un luogo isolato, di riflessione e di rilassamento, accessibile solo a pochi. I suoi paesaggi vasti e solitari, caratterizzati da una natura incontaminata, offrivano rifugio a chi cercava la quiete e il distacco dalla frenesia della vita quotidiana. Non a caso, gli eremi, simbolo di spiritualità e introspezione, sono spesso stati costruiti in luoghi remoti, lontani dalle città e dalle comunità più grandi.

Questi spazi permettevano di trovare un legame più profondo con sé stessi e con la natura circostante, in un contesto di isolamento fisico e spirituale. Questo tipo di esperienza era riservata a pochi, sia per l’impossibilità logistica di accedere alle montagne, sia per il tipo di vita che vi si conduceva.

Indice dei contenuti:

La montagna come eremo

Fino a pochi decenni fa, la montagna era vista proprio come questi eremi: un luogo remoto, quasi inaccessibile, ideale per chi desiderava allontanarsi dalle distrazioni quotidiane e immergersi in un’esperienza rivolta più per ritrovare un po’ di serenità e di pace che la vita quotidiana in città va a deteriorare.

montagna foto di Davide Busetto 3
Pian dei Buoi, Cadore

Questo non vuol dire che il turismo fosse assente. Negli anni, ci sono sempre stati coloro che cercavano l’avventura e il contatto con la natura montana, ma la loro presenza era contenuta e temporanea, tanto da non incidere in modo significativo sull’ambiente naturale o sulla vita delle comunità locali. La montagna, insomma, poteva mantenere la sua autenticità e preservare il suo delicato equilibrio, poiché l’impatto umano era limitato e controllabile.

La democratizzazione della montagna

Con il passare degli anni e con il miglioramento delle infrastrutture e delle vie di comunicazione, la montagna è diventata molto più accessibile. Questo processo di democratizzazione, che ha aperto le porte della montagna a un numero sempre maggiore di persone, ha rappresentato un’importante conquista in termini di inclusività. Oggi, la montagna non è più riservata solo agli escursionisti esperti o a chi è disposto ad affrontare le difficoltà fisiche del cammino. Grazie alla costruzione di strade, impianti di risalita, rifugi attrezzati e servizi moderni, è possibile raggiungere luoghi un tempo inaccessibili in poche ore, spesso senza sforzo. Questo ha permesso anche a chi ha limitazioni fisiche o di età di vivere l’esperienza montana, il che è un risultato positivo. Ma come ogni conquista, ha portato con sé delle sfide enormi. L’aumento vertiginoso delle presenze in montagna ha imposto una pressione senza precedenti sul delicato ecosistema montano. Non solo. Anche l’educazione delle persone a un corretto comportamento in questi luoghi non è un processo immediato.

montagna foto di Davide Busetto 1
Gruppo dei Brentoni, Cadore

Educare centinaia di migliaia di persone, che si riversano nelle montagne durante l’alta stagione, richiede un impegno costante e capillare. Non si tratta solo di indicare i comportamenti corretti, ma di instillare un rispetto profondo per l’ambiente e la consapevolezza che ogni azione, anche piccola, ha delle conseguenze. Tuttavia, l’intero settore del turismo non è stato sempre pronto a gestire un afflusso così massiccio. In molti casi, l’attenzione si è spostata più sulla quantità che sulla qualità dell’esperienza offerta, con il risultato che in diverse località la gestione è diventata frammentaria e poco regolamentata. Questo ha lasciato spazio a comportamenti irresponsabili e dannosi, che sono difficili da correggere se non affrontati in maniera strutturale fin dall’inizio.

L’impatto del turismo di massa

Oggi, il turismo di massa in montagna ha un impatto molto diverso rispetto al passato. Se un tempo l’afflusso di persone era ridotto e il loro impatto sull’ambiente era relativamente contenuto, oggi la situazione è cambiata drasticamente. L’aumento esponenziale dei visitatori ha generato conseguenze profonde sull’ecosistema montano, non più limitate a sporadiche tracce di presenza umana. I segni lasciati sono ben più evidenti e diffusi, con ripercussioni sull’ambiente circostante che vanno dalla perdita di biodiversità al degrado degli spazi naturali.

In molte aree, la pressione antropica ha portato a un aumento del degrado ambientale, con una crescita dell’inquinamento che colpisce in modo diffuso. Non si parla più solo di rifiuti visibili, ma di un impatto più profondo che coinvolge l’aria, l’acqua e persino la tranquillità che una volta era sinonimo di montagna. Il rumore, l’inquinamento legato al traffico e alle infrastrutture necessarie a sostenere la massa di visitatori stanno progressivamente erodendo l’equilibrio naturale. La montagna, un tempo incontaminata, rischia di essere trasformata in uno spazio sfruttato, dove il fragile ecosistema fatica a mantenere la propria integrità.

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Spalti di Toro dal rifugio Padova, Cadore

Questo porta a riflettere su un aspetto cruciale: la differenza tra “andare in montagna” e “stare in montagna”. Oggi, molte persone visitano la montagna come un luogo da consumare velocemente, un ambiente da vedere, fotografare, e poi lasciare per tornare alle abitudini della pianura. La montagna è diventata una sorta di scenario spettacolare, da catturare in un’immagine e da mostrare agli altri per confermare di esserci stati.

Tuttavia, la montagna non si comprende né si apprezza davvero attraverso una breve escursione o una giornata trascorsa a fare selfie. Per coglierne l’essenza, è necessario rimanere, fermarsi, immergersi nel ritmo più lento della natura. Vivere la montagna non significa solo attraversarla o scalarne una vetta. Significa capirne i tempi, ascoltarne i suoni, sentirne il vento. Significa osservare come cambia la luce sulle rocce e sui prati durante il giorno. Solo “stando” in montagna si può sviluppare una vera connessione con essa. Questo richiede tempo, rispetto e una disponibilità a rallentare, qualcosa che il turismo di massa, per sua natura, tende a trascurare.

Conclusioni

L’overtourism è davvero un problema per le montagne italiane? La risposta è no, non per la montagna nel suo insieme, ma per alcune destinazioni specifiche che abbiamo costruito e promosso. Sono i luoghi iconici, quelli fotografati e condivisi milioni di volte sui social media, a soffrire maggiormente di sovraffollamento. Al di fuori di questi luoghi gettonati, la montagna non soffre di overtourism. Anzi, molte zone continuano a lottare contro lo spopolamento, l’abbandono dei servizi essenziali, e i cambiamenti climatici che stanno alterando in modo drastico il paesaggio. Il drammatico scioglimento dei ghiacciai è solo uno dei segnali più evidenti di quanto il clima stia modificando questi ambienti, rendendoli sempre più fragili. La montagna soffre per la desertificazione delle comunità, che vedono i giovani lasciare i villaggi in cerca di lavoro e opportunità. Soffre per la perdita di biodiversità, per l’impoverimento del terreno e per l’incapacità di adattarsi in tempi rapidi alle nuove condizioni climatiche ed economiche.

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Valle Argentera, Piemonte

Certamente, le destinazioni che vivono fenomeni di overtourism affrontano sfide come l’erosione dei sentieri, l’aumento dei rifiuti e il disturbo alla flora e alla fauna. È cruciale che il settore turistico lavori per mitigare questi effetti, anche se questo può comportare delle rinunce economiche. Dobbiamo incoraggiare un turismo più lento e consapevole, che rispetti e si integri con le realtà locali, senza cercare di sostituirle o snaturarle. Solo in questo modo il turismo può portare benefici duraturi alle comunità montane, mantenendo vivo il loro legame con il territorio e preservando l’ambiente per le generazioni future.

Ci troviamo di fronte a una scelta cruciale: la montagna può diventare un rifugio per pochi o una destinazione per molti. Tuttavia, se continuiamo a promuoverla come un luogo di pace e tranquillità, dobbiamo assicurarci che queste qualità restino effettivamente preservate. Non si può trovare tranquillità se per raggiungere la meta dobbiamo affrontare ore di traffico e code. Solo un approccio responsabile, che tenga conto dell’impatto umano, può garantire che la montagna rimanga un luogo autentico e vivo, e non si trasformi in un parco giochi a cielo aperto.

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