Dalla ricerca Covid-19 Impact Sentiment Survey di IDC, condotta a livello globale, risulta che, a fronte di un 71% delle aziende del mercato Emea (Europe, Middle East, and Africa) che si aspettano un decremento del fatturato nel prossimo futuro, solo il 28% si aspetta che la spesa in tecnologia si ridurrà a causa della crisi Covid-19. Forse per la prima volta, alla tecnologia è stato finalmente riconosciuto il ruolo attivo di abilitatore del business aziendale, facendo dimenticare ai manager, speriamo per sempre, la sensazione che la tecnologia sia solo un costo.
Nel dettaglio, per l’Italia, a inizio maggio 2020 si evidenzia che, in assenza di alternative e in un solo mese dall’inizio della crisi sanitaria, si è registrato un salto evolutivo verso il digitale di 10 anni: le abitudini di acquisto e i comportamenti dei consumatori italiani si sono spostati a favore degli acquisti in rete. Oggi le imprese hanno capito che non possono più trascurare l’apertura di una piattaforma di e-commerce o lo sviluppo di un canale digitale se vogliono rafforzare la relazione con i loro clienti.
Il Covid-19 ha dunque messo in luce l’importanza del digitale per il nostro Paese, un ambito in cui soffriamo ancora di un grave ritardo e che ci vede indietreggiare nella classifica europea. E se prima del Coronavirus il digitale era considerato un’opportunità, oggi rappresenta una necessità per le PMI. È, dunque, fondamentale supportare la digitalizzazione delle imprese, soprattutto di quelle tradizionali e di più piccole dimensioni, comprendendone fabbisogni ed esigenze. L’impatto del Covid, infatti, è stato rilevantissimo anche per la trasformazione del business.
Il digitale è sempre più necessario (per oltre l’80% delle imprese), ritenuto soprattutto utile per comunicare con i clienti e per vendere direttamente, e spesso è visto solo come strumento per la presenza sui social e per l’e-commerce.
Il 36% delle imprese dichiara di non avere un sito web, mentre utilizza principalmente i canali social per promuovere la propria attività (per l’89%) e il 76% degli imprenditori ritiene utile seguire corsi di formazione per migliorare le proprie competenze digitali e quelle dei collaboratori.
Emerge, in ogni caso, la voglia di “fare insieme”, tanto che oltre il 57% degli intervistati sente l’esigenza di unirsi ad altre imprese per fronteggiare meglio la crisi con l’obiettivo di un presidio di qualità che crei relazioni fiduciarie e continuative nel tempo e che aiuti le imprese a crescere nelle competenze.
I 28mila delle Digital Agency
Si stima che in Italia ci siano 28mila aziende legate al mondo della tecnologia, che producono un fatturato annuo di 21 miliardi e impiegano oltre 156mila addetti. Sono i risultati di una ricerca condotta da Prometeia con UNA.
“L’identikit” della digital agency in questo tormentato biennio parte dalla considerazione che le aziende digitali ricalcano in maniera fedele lo schema delle PMI, con le caratteristiche comuni di pochi dipendenti ma di imprese fortemente integrate tra loro: il 12% delle società ha infatti meno di 10 addetti, il 43% tra 10 e 50, il 27% tra 50 e 250 e solo il 18% ha più di 250 addetti. Per affrontare le sfide più impegnative del mercato con mediamente così pochi dipendenti la soluzione adottata è quella di costituire reti temporanee d’impresa con potenziali competitor: il 50% degli intervistati ha utilizzato questa strategia e quasi tre aziende su quattro sarebbero disposte a collaborare in caso di necessità.
Le aree di offerta digitali maggiormente presidiate da queste imprese sono ovviamente quella legata al web (83% delle agenzie offrono servizi legati ad esso), seguito da marketing, comunicazione (64%) e dai social media (56%).
La ricerca ha evidenziato che è presente un forte gap tecnologico tra il nord-Italia, più precisamente in Lombardia, dove è presente il 27% delle imprese, che producono il 50% del fatturato italiano, ma che negli ultimi anni si stanno imponendo come importanti poli tecnologici anche il Lazio e la Campania, pur con numeri decisamente inferiori al nord Italia.
L’età media delle risorse è molto bassa e la qualificazione degli occupati molto forte: il 30% dei dipendenti ha meno di 35 anni (contro il 20% nel resto dei settori economici), mentre il 36% degli addetti è laureato (la media italiana è del 18%).
Il settore, fino a inizio 2020, era in costante ascesa e il fatturato dal 2010 è cresciuto in media di cinque punti percentuali l’anno. La prima ondata di pandemia è stata assorbita bene: si calcolava che la media di perdita di fatturato per le agenzie digitali si attestasse al 4% con un’ipotesi di bounceback per il 2021, con ricavi in aumento del 7%.
Anche la seconda ondata pandemica non ha messo eccessivamente in crisi questo settore, che tra i primi si è potuto (e saputo) adattare alla modalità di lavoro agile che si è resa necessaria.
Più luci che ombre per le agenzie digitali in Italia, e la necessità di sviluppare il potenziale disponibile, per fornire un vantaggio competitivo importante ai clienti.
Questo vantaggio non può prescindere dalla necessità di crescita – a livello digitale – delle PMI italiane, per colmare il gap tecnologico ben rappresentato durante i risultati della ricerca. Altri ingredienti necessari per continuare il virtuoso percorso messo in campo negli ultimi anni devono avvenire a livello di governance, per garantire a tutti la possibilità di poter usufruire di competenze tecniche e digitali, senza dimenticare la necessità di fiducia nelle donne finalmente in “plancia di comando”.