Ottobre 2020 – Una fotografia analitica per ricominciare a crescere
Martedì 20 ottobre abbiamo partecipato a Comunicare Domani, Capire per Ripartire, interessante webinar di UNA (Agenzie della comunicazione unite) pensato per fornire basi e “ingredienti” giusti per una ripartenza più veloce possibile.
In un autunno, dove domina l’incertezza e la frammentazione, la domanda su quale sarà il futuro economico del Paese e delle imprese cresce in modo esponenziale.
Nel suo saluto introduttivo il Presidente UNA Emanuele Nenna ha anticipato che l’obiettivo dell’iniziativa non può essere oggi quello di fornire delle risposte, quanto gli ingredienti giusti, pareri autorevoli che possano portare valore e ispirazione per le agenzie di comunicazione e marketing di fronte a un futuro pieno di incertezze.
Vediamo allora questi elementi necessari per capire il quadro d’insieme e poter attivare strategie di ripartenza. Partiamo dal generale per avvicinarci gradualmente agli argomenti specifici del nostro comparto. Ha aperto l’evento il Professor Stefano Manzocchi, direttore del Centro Studi di Confindustria. Nel quadro internazionale la condizione economica e sociale si sta muovendo in stretta correlazione con lo sviluppo della pandemia.
In Europa siamo di nuovo di fronte a una fase molto dura, in Cina invece c’è stato un rimbalzo economico del +5%, dato che ha a che fare con la stabilizzazione della situazione sanitaria in quella regione.
Ma la frammentazione non riguarda solamente le aree geografiche colpite dal Covid e dal grado del suo impatto. Ha a che fare anche con i diversi settori: l’industria manifatturiera dopo il lockdown ha avuto un rimbalzo molto forte – ad agosto eravamo l’unico Paese ad aver recuperato i livelli mensili della fine dell’anno precedente – così come i comparti alimentare e farmaceutico, per esempio. Ci sono poi settori come quello finanziario che non hanno subito grossi cali. Altri sono invece in grandissima sofferenza – dal turismo, al trasporto aereo. Il comparto turistico (che contribuisce al PIL da solo per il 6% e con l’indotto fino al 12%), ha subito l’impatto più forte: ad agosto il tasso di occupazione delle camere si è attesta sul 50%.
È quello che è stato definito – immaginando l’andamento delle linee dei diversi comparti sui grafici – come l’effetto K, con settori che hanno visto un rimbalzo molto forte e altri settori che proseguono una decrescita altrettanto importante.
Secondo Manzocchi c’è l’urgenza di “riallocare risorse in settori diversi tra loro e la manovra di bilancio approvata questa settimana guarda ancora alla fase di emergenza, ma servirà una manovra che dia una prospettiva per i prossimi anni”.
Venendo ai numeri, le previsioni per il nostro Paese segnano un meno 10% per il PIL a fine 2020 e una crescita del 6% sul 2021. Nel grafico presentato – che racconta dell’andamento del PIL – la crisi ci ha portato indietro di 26 anni.
I dati sull’occupazione raccontano di un -10%, un numero tutto sommato contenuto se paragonato alla crisi profonda, perché l’impatto sui posti di lavoro è stato attutito dalle misure del Governo – come la Cassa Integrazione e altre misure per evitare licenziamenti – la domanda è “quanto a lungo questo sarà sostenibile?” Le previsioni dicono che a fine anno ci saranno 400mila occupati in meno e 250 mila in meno nel 2021. Numeri davvero importanti. La CIG è stata una misura che sta ottenendo buoni risultati nel settore dell’industria mentre nel terziario le prospettive sono più negative.
Le stime sui consumi delle famiglie parlano di un -11% a fine anno e una ripresa nel 2021 con un + 6%. Per quanto riguarda le esportazioni invece -14,3% nel 2020 e + 11,3% nel 2021.
La finanza pubblica ha accumulato debito (oltre 2 punti %) per coprire i fabbisogni delle famiglie e per investire nel settore sanitario durante l’emergenza. Con questa seconda ondata di pandemia il clima di incertezza si acuisce perché il rischio è la recessione a “doppia v”.
Con il secondo focus, a cura di Marianna Ghirlanda, del Centro Studi di UNA, abbiamo spostato l’attenzione sul nostro comparto con l’analisi del mercato investimenti in pubblicità. Un aggiornamento in realtà rispetto alle stime di luglio che ipotizzavano un -17,4% a fine 2020.
Grazie all’andamento di luglio, agosto e settembre e alcuni fattori attuali possiamo essere più ottimisti: si stima “solo” un – 12,2% alla chiusura d’anno, ma si tratta di una stima carica d’incertezza acuita dalla seconda ondata: “Abbiamo imparato a dialogare con il momento in cui stiamo vivendo, occorre conviverci – dice Ghirlanda -. Le aziende questa primavera hanno capito che smettere di comunicare non è la soluzione: i brand che non hanno smesso di comunicare sono quelli che hanno avuto risultati migliori”.
Entrando nel dettaglio dei mezzi, le dinamiche della fotografia di luglio, seppur con gap inferiori, sono confermate: OOH e cinema a fine anno avranno una ripercussione maggiore (rispettivamente -49% e -30%), per la stampa prosegue la flessione strutturale iniziata da qualche anno (- 20% per la stampa quotidiana e – 31,5% per i periodici); un calo importante per radio e tv (-20,9% e – 12,3%) mentre sono gli investimenti digital quelli che risentono meno di quest’anno bisesto, anche per la veloce reattività del canale: si stima un – 5,3% a fine 2020.
La proiezione di Una per il 2021 racconta poi di una crescita del 13%, ma sarà una ripresa lenta, “il ritorno ai livelli di investimento del 2019 non potrà avvenire prima del 2022” spiegano dal Centro Studi.
Le proiezioni. I mezzi che si riprendono meglio sono quelli che hanno subito il maggior contenimento nel 2020: cinema (+ 50,7%) OOH (+ 35,8%) e poi radio (+15,1%), tv (+10,7%), digital (+14,3), periodici e quotidiani (+6% e +3,3%).
In questo clima di incertezza e variabili si stabilizza comunque il duopolio digital e tv, che risultano determinanti per la crescita 2021: nel 2020 le stime parlano di 7,7 miliardi di euro con digital al 41% e tv al 43,4%. Nel 2021 saranno invece 8,7 i miliardi di euro, così suddivisi: digital 41,5% e tv 42,5%.
INVESTIMENTI MEDIA 2020/2021
I focus successivi sono quindi stati dedicati alla TV e al Digital.
UNA ha invitato per un contributo Matteo Cardani, CMO Publitalia e Presidente FCP AssoTV e Mark Howe, managing director EMEA Agencies di Google.
Matteo Cardani ha fatto il punto sui trend strutturali che hanno a che fare con la tv.
Il 2020 ha confermato e amplificato la centralità della tv nel consumo mediatico degli italiani – complice il lockdown c’è stata una crescita dell’ascolto lineare (+11%) – e la crescita del digitale con la fruizione multidevice in una logica di schermo diffuso. “Ogni giorno ci sono, su 60 milioni, 36 milioni di ricerche di contenuti televisivi fuori dallo schermo tv”.
Cardani ha spiegato che la fruizione digitale è soprattutto “on demand” (88%) con un’incidenza del 36% della pubblicità. Il numero degli “schermi” nelle famiglie italiane è di 112 milioni, di cui 43 milioni di apparecchi tv per 24 milioni di famiglie e 95 miliardi di ore di contenuti l’anno. Sono invece 69 milioni i second screen per oltre 700 milioni di ore di contenuti l’anno. Le smart tv connesse invece riguardano solo 19 milioni di individui.
Per quanto riguarda gli investimenti pubblicitari, l’attuale schema di pianificazione deve evolversi in una complessità 4×4: “perché sono quattro gli schermi (tv, computer, desktop e mobile) e quattro anche le modalità di fruizione – live, on demand full content, clip, digital first”. Quindi la industry dovrà riscrivere i software dei planning televisivi studiando le nuove logiche di geotargeting e retargeting, unendo il broadcasting e la tv lineare con l’addressable adv.
Tra il 2020 e il 2022 ci sarà la crescita delle smart tv connesse in broadband e ci sarà lo switch off definitivo. “Oggi però solo 1 famiglia su 3 ha la tv connessa, con il rischio che allo switch off emerga un importante tv divide rispetto alle famiglie europee. “Si calcola che allo switch off del 2022 – il taglio delle frequenze 700MGH per fare spazio al 5G e dare inizio alla tv digitale DVBT2 – oltre 6 milioni di persone subiranno il tv divide”. Un tema di agenda pubblica: ad oggi sono stati richiesti solo il 7% dei contributi per i nuovi standard tv.
Le tv connesse danno la possibilità di raggiungere target mirati: da oggi e per il 2021 secondo Cardani si apre l’opportunità di “combinare il meglio dei due mondi: la forza del broadcasting tv con la precisione digitale dell’addressable adv in TV”. Sappiamo con certezza che la televisione è un companion media consolidato anche per gli advertiser.
In effetti nell’advance television non c’è solo la possibilità di spot tv tradizionali: si va dal display, pop up, sponsorship con creatività dinamiche, branded content, pre o post roll. Grazie all’addressable advertising si possono raggiungere spettatori che non sono stati raggiunti in maniera tradizionale, aumentando la copertura, aumentando la frequenza dei passaggi su determinate persone per fare heavy up locale con una connotazione geografica, il tutto in maniera più accessibile dal punto di vista economico rispetto all’adv su tv tradizionale.
Mark Howe, managing director EMEA Agencies di Google, ha invece introdotto il suo argomento partendo dal presupposto che la pandemia sul fronte digitale ha proiettato nel futuro il Paese di 5 anni in sole 8 settimane con un +60% di utilizzo internet, un incremento di 30 volte delle video calling e un +200% di acquisti on line. Perché non si può parlare di ripartenza nel digitale senza parlare di privacy?
“Perché i consumatori ne hanno bisogno e la chiedono – spiega Howe -, quella della privacy è una ricerca su Google aumentata del 50% tra il 2019 e il 2020; ne ha bisogno il mercato, c’è una grande consapevolezza su questo tema anche tra i livelli senior delle aziende”.
Come spiega Howe ci sono tre fattori che possono aiutare a creare valore e al tempo stesso mantenere relazioni continuative con i clienti utilizzando i dati proprietari (first party data).
Creare uno scambio di valore equo e trasparente per iniziare a raccogliere dati. Affinchè ciò avvenga l’azienda deve offrire al cliente qualcosa di utile e importante: informazioni, assistenza, contenuti. Uno scambio di valore a patto che l’azienda utilizzi i dati in maniera trasparente e responsabile. Il consumatore riceve qualcosa che per lui ha un valore, mentre l’azienda acquisisce maggiori informazioni sul proprio pubblico, riuscendo così a offrire esperienze migliori e ad attuare una strategia di marketing più efficace attraverso l’uso dei dati proprietari.
Secondo Howe, migliorando la capacità di gestione dei dati proprietari è possibile adattarsi a situazioni in rapida evoluzione come quella attuale. Howe sottolinea anche l’importanza di tre assi:
1. favorire una mentalità data-first
2. sviluppare competenze specialistiche e interne alle aziende
3. implementare partnership strategiche.
Questo è il momento giusto!
L’ultima chiave strategica che secondo UNA si accompagna alla ripartenza, insieme alla digitalizzazione, sono le risorse umane: hub importantissimo. Di fronte al cambiamento epocale di questo 2020 è interessante capire come si muove il mercato delle risorse umane: perché se è vero che il modo di lavorare è cambiato, è altrettanto vero che si fonda pur sempre sulla valorizzazione dei talenti. Ne ha parlato durante l’evento Nicoletta Vittadini, docente della Cattolica Milano. “Il lockdown ci ha posto di fronte a una disruption forzata: con l’introduzione dello smartworking c’è stata la necessità di reimmaginare velocemente il lavoro”. In particolare il tema della conciliazione tra smartworking e worklife balance, cioè l’equilibrio tra vita privata e vita professionale, è stato messo alla prova in modo inedito.
Le imprese sono state costrette a ripensare velocemente il lavoro agile che si basa su un network di risorse umane piuttosto che sul luogo di lavoro, una situazione che cambia non solo per i dipendenti ma anche nel management e nei processi di monitoraggio.
La conciliazione tempo del lavoro / tempo della vita privata, con lo smartworking, non è più solo questione di genere, e quando non è ben gestita porta a limitazioni e criticità molto forti. Prime a risentirne: la formazione e l’autoformazione. L’ottimizzazione dello smartworking – con la scelta di impostare il lavoro per obiettivi, ridefinire i sistemi di monitoraggio, fare un’analisi più attenta dei carichi di lavoro rispetto ai KPI – può essere quindi anche la risposta per contribuire a un miglior worklife balance.
L’ultimo tema affrontato da Vittadini è il processo di inserimento delle nuove risorse, attraverso percorsi non abituali. Stiamo parlando in particolare di millenials e generazione Z. Ma chi sono e cosa pensano?
Vittadini spiega che “sono ragazze e ragazzi consapevoli del mercato del lavoro e in grado di individuare in maniera chiara le professioni emergenti: robotica, intelligenza artificiale, e-commerce e social media, specialisti di Big Data”. Hanno un profilo valoriale orientato al cambiamento e al valore della relazione diretta e personalizzata con le figure leader delle aziende. Sono inoltre molto attenti alla sostenibilità ambientale e sociale, per esempio sono attenti al tema del worklife balance “per un senso di equità sociale più che per un senso di protezione personale”.