Il cambiamento delle relazioni sociali

Tre fotografie per raccontare il cambiamento delle relazioni sociali

Tre fotografie narrative per raccontare le transizioni delle relazioni sociali, dalla rivoluzione industriale al Covid-19.

L’inverno quest’anno si è protratto fino alle soglie dell’estate, gradualmente però sembra che il freddo della paura stia lasciando spazio ad una più tiepida, ma pur sempre tangibile e concreta, preoccupazione per il futuro. Le modalità di interazione che finora davamo per scontate hanno subito diverse limitazioni e i tempi e i modi con cui torneremo alla “normalità” non sono ancora chiari. eventi storici simili e accadimenti che, seppur diversi nella loro natura, hanno determinato importanti transizioni nel nostro modo di vivere, possono aiutare ad orientarci in ciò che sta succedendo.

In questo periodo di quarantena mi è capitato di imbattermi in un vecchio scatolone di foto di famiglia, dal quale ne è riemersa una in bianco e nero, in basso sulla cornice bianca la data 4/5/1884. In primo piano un uomo, capelli corti e tuta da lavoro, su uno sfondo di alti palazzi, con le finestre fitte fitte. Non biasimo il disappunto che il suo volto lascia trasparire nel farsi fotografare dopo una lunga giornata di lavoro alla catena di montaggio, le macchie puntinate sul petto sfumano in aloni e striature scure intorno alle tasche e ai fianchi della tuta, il grasso con cui è stato oliato il consumismo sembra permearlo. Immagino che la città sullo sfondo, gli deve essere sembrata strana, un luogo immenso, architettato da qualcuno fuorché dall’uomo stesso. La foto mi sembra l’emblema del momento in cui essere umano e società suggellano un patto, in cui l’uomo rinuncia alla sua unicità e alla sua visibilità, in favore di servizi erogati ancor prima che ne emerga in lui il bisogno.

Continuando a rovistare, un’altra foto mi ha colpito particolarmente, questa volta più recente, della mia prima media, classe 1985. Fra noi un compagno di cui poco tempo fa, pur avendone perso completamente le tracce, ne rincontrai la storia. Di lui ricordavo solo la sua passione per i videogame, ai tempi internet e la tecnologia digitale si stavano diffondendo rapidamente. La sua storia mi è stata raccontata a partire dalla fine, un ricovero in psichiatria per isolamento sociale estremo. Pare che si sia pian piano rinchiuso nella sua stanza, affacciato al mondo solo attraverso lo schermo del pc, arrivando a rifiutare anche il cibo. Il mondo visto in chiaro gli deve essere sembrato più rassicurante, un’illusoria isola di salvezza diventata poi la sua stessa prigione. La rivoluzione portata dal superamento dei confini geografici – la cosiddetta  globalizzazione – ha  paradossalmente spinto l’uomo a chiudersi sempre più nel suo privato.

Guardando queste foto è nata in me una consapevolezza: il cambiamento che stiamo attraversando sarà la quotidianità delle generazioni future e, proprio per questo, dobbiamo avere una grande responsabilità e una maggiore forza per saper trasformare questo momento critico in un’opportunità. In un futuro in cui il distanziamento sociale sarà la norma e in cui il contatto sociale un divieto, il mondo, così come lo conosciamo, cesserà di esistere, lasciando ampi spunti per soggetti cinematografici distopici e un po’ germofobici. Al contrario, una foto alternativa del nostro futuro la vedo in un ritorno della società a misura d’uomo, una comunità solidale dove i rapporti fra le persone sono genuini ed empatici, dove la scienza e quindi la direzione del progresso, non è vincolata a interessi economici, e dove il welfare non è trincerato dietro muri burocratici invalicabili. Una società finalmente orientata al benessere degli individui e non più al profitto. Un cambiamento enorme per la sua portata sociale, ma che parte sempre dall’idea di cambiare qualcosa dentro di noi. L’azione impegnata che quotidianamente decidiamo di mettere in atto, sorretta dalla speranza e dalla fiducia in una rivoluzione positiva, quello che spesso ci sembra come una goccia in mezzo all’oceano, è l’ingrediente che può trasformare questo sogno, forse utopico, in una realtà da regalare ai nostri figli. 

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