L’ancora di salvataggio per il talento.
La pandemia ha creato un solco, un abisso da cui la società e le aziende stanno provando a riemergere. Se il Covid sembra aver aumentato la solitudine a livello individuale e sociale, i grandi player internazionali invece stanno provando a riorganizzarsi e trovare un’adeguata risposta attraverso i superteam, combinazioni di persone e tecnologia che sfruttano le loro capacità complementari per perseguire risultati a una velocità e su una scala altrimenti impossibili.
Una collaborazione fra i due soggetti, il contrario di quanto avessero previsto le teorie più catastrofiste, in cui si prospettava un sostanziale spodestamento del capitale umano, in favore della tecnologia e di pochi eletti. Non solo, ma anche un calcio alle teorie più individualistiche, di incentivazione del singolo talento, del lavoro puramente individuale.
Gli studi di Deloitte Global Human Capital Trends del 2021, che riprendono il sondaggio del 2020 condotto dalla stessa azienda, hanno individuato come l’utilizzo della tecnologia e delle persone non sia “una scelta aut-aut“, bensì una partnership, considerando l’intelligenza artificiale (AI) non come puro strumento di automazione, un sostituto del lavoro manuale, piuttosto una via per aumentare o collaborare con le capacità umane per ottenere grandi benefici.
Ma quale sarebbe il reale vantaggio nell’utilizzare l’intelligenza artificiale nei team?
Lo scienziato sociale Scott Page, dell’Università del Michigan, nel suo libro The Difference, lo definisce come “bonus diversità”:per cui le decisioni di un gruppo collettivo variegato, con il supporto della tecnologia, sono sempre migliori rispetto alle valutazioni e all’abilità del singolo.
Perché si ottenga questo risultato però sono necessarie tre componenti:
- diversità, nel modo di pensare e affrontare i problemi;
- aggregazione, utilizzando meccanismi trasparenti, per riunire e non disperdere le opinioni dei singoli componenti del collettivo;
- incentivi: le singole unità devono essere incentivate a fornire il loro contributo personale (può essere un plus monetario, ma anche reputazionale).
La ricerca condotta da Deloitte mostra come le aziende che hanno introdotto questa nuova filosofia applicata al lavoro di squadra hanno ottenuto un surplus produttivo del 45%, rispetto alle aziende che hanno introdotto un’innovazione digitale e tecnologia pura e semplice (+ 26%).
Con l’intelligenza artificiale che porta il proprio stile di “pensiero” a una squadra, il mix di intelligenza umana e macchina può produrre bonus di diversità che superano quelli prodotti da squadre composte da soli umani, per quanto diverse.
Il grande vantaggio dei superteam non è solo la possibilità di svolgere il lavoro in modo più rapido ed economico, ma anche nella capacità di riprogettare il lavoro, con la tecnologia in grado di cogliere e sfruttare le doti spiccatamente umane dei singoli.
Prendiamo tre esempi positivi di integrazione intelligenza artificiale e lavoro umano, di gruppo:
- Astrazeneca: utilizzando software di condivisione dei dati in tempo reale, il team di ricerca per la produzione del famoso vaccino, che al suo interno comprendeva diverse componenti (cardiologi, pneumologi, oncologi) è riuscita a collaborare, aumentando così produttività e velocità.
- Il mondo delle assicurazioni (Lemonade negli Usa, Yolo in Italia, e molti altri): l’intelligenza artificiale può migliorare una scelta, una decisione, sia a livello client, sia a livello del fornitore del servizio. L’AI e i modelli predittivi permettono di valutare infatti quale sia il reale “rischio di sottoscrizione”, senza essere particolarmente esperti.
- Remesh: questa azienda statunitense operante nel settore dei Focus Group riesce, utilizzando l’intelligenza artificiale, non solo ad organizzare le risposte degli intervistati, ma anche a effettuare valutazioni immediate che altrimenti sfuggirebbero. La piattaforma riesce a calcolare e classificare automaticamente le risposte in base alla popolarità all’interno del gruppo, consentendo una visione chiara delle idee dei partecipanti, senza essere offuscati da fattori come pregiudizi e differenze individuali.
Non a caso anche in Italia le aziende hanno iniziato ad accorgersi dell’utilità dell’AI.
Secondo i dati dell’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano, il mercato dell’intelligenza artificiale a inizio 2021 è cresciuto del 15%, raggiungendo un valore complessivo di 300 milioni di euro, di cui il 77% commissionato da imprese italiane (230 milioni) e il 23% come export di progetti (70 milioni).
Più di metà delle 235 imprese medio-grandi italiane analizzate dall’Osservatorio ha attivato almeno un progetto di AI nel corso del 2020.
Ma emergono enormi differenze tra grandi imprese, dove queste iniziative sono presenti nel 61% dei casi e si concentrano sulla crescita organizzativa e culturale oltreché sulla valorizzazione dei dati e lo sviluppo di algoritmi, e le medie-piccole aziende, ancora poco mature, e con progetti attivi solo nel 21% dei casi.
Questi dati dimostrano che il nuovo modello improntato sul fare squadra con l’integrazione della tecnologia non diventerà nell’immediato prassi comune, ma sarà un processo graduale di commistione.
Questa commistione però, può essere sicuramente una strada da perseguire per due validi motivi. Primo, della tecnologia non ne possiamo fare a meno. Non è né un bene, né un male. È un dato di fatto. La scelta sulle modalità – queste sì buone o cattive – del suo utilizzo spettano sempre e comunque all’uomo. E l’uomo, anche in questo caso, ancora e sempre, è tale in forza dell’essere un animale sociale. Senza socialità non c’è individuo. Un umanesimo improntato all’adesione degli individui in gruppi, nel nostro caso di lavoro, ma si potrebbe estendere a tutti gli altri ambiti del vivere sociale, supportati dall’intelligenza artificiale non ci pare un futuro troppo lontano e per nulla distopico. Secondo, l’uomo è per definizione “faber”, artefice, produttore. Come sappiamo, è questo uno fra i tratti maggiormente marcati che lo definiscono e lo distinguono dalle altre specie animali che abitano il pianeta. I sapiens inventano. Fa parte del nostro bagaglio genetico e del nostro adattamento all’ambiente che ci circonda. Inventiamo tecnologia: sempre più evoluta, potente, rischiosa e produttiva. L’intelligenza artificiale utilizzata e governata all’interno dei team di lavoro spinge a un utilizzo collettivo e attivo e non individuale e passivo della tecnologia di cui ci serviamo.