Una situazione decisamente straordinaria.
Nel 2019 la stima degli investimenti pubblicitari toccava gli 8,8 miliardi di euro. La perdita prospettata per il 2020 è stimata al -17,4%. Questo dato si prevede possa tornare a salire nel 2021 con incremento di “solo” +12%, senza quindi ancora ritornare ai numeri del 2019.
Una situazione senza precedenti nella storia dei mezzi di comunicazione di massa, sempre direttamente collegata con i mutamenti sociologici che intervengono nella Storia e che coinvolgono i comportamenti delle persone.
“Un fatto come quello che abbiamo vissuto e che stiamo tutt’ora vivendo, e che lascia aperti scenari che non possiamo prevedere, nemmeno per il prossimo autunno, ha una portata enorme di cui credo non abbiamo ancora colto tutte le potenziali conseguenze. Una pandemia mondiale in epoca moderna, a villaggio globale e mondo ormai interconnesso e privo, di fatto, di reali confini invalicabili, mina potenzialmente dalle fondamenta tutti gli equilibri e l’evoluzione lenta a cui ci siamo abituati. In questo senso, credo, si debba paragonare la pandemia a una guerra. Mi viene in mente una poesia di Metastasio che già 300 anni fa, più o meno, dopo aver visto la mongolfiera, si chiedeva che cosa l’uomo avesse ancora potuto fare se non “librar con Giove in cielo”. In questi 300 anni abbiamo praticamente rifatto il mondo e, per la potenza – anche terribile – che l’uomo ha saputo dispiegare, di fatto ci siamo seduti di fianco a Dio. Abbiamo nelle nostre mani il potere di distruggere la terra sulla quale viviamo. Eppure, un patogeno invisibile venuto dalla natura, in questo caso matrigna, ci ha ricordato in un baleno che non solo come singoli ma anche come specie possiamo morire. La paura della specie e del singolo sono diventate una cosa sola. Giriamo con le mascherine, oggi, che abbiamo almeno potuto tornare a circolare liberamente. Ma quello che adesso ci pare normale, sino a quattro mesi fa ci sarebbe parso fantascienza. C’è una mutazione sociologica in corso di portata epocale, che non percepiamo correttamente perché la stiamo vivendo da dentro. Ci scopriremo cambiati, per certe cose stravolti. E i mezzi di comunicazione cambieranno insieme e forse più di tutto il resto. Data la loro pervasività nel contesto contemporaneo, praticamente in tutte le società del mondo, i mezzi di comunicazione contribuiranno in maniera determinante a questo cambiamento. Un nuovo mondo ci attende, spero che la comunicazione sappia dare un contributo positivo alla sua costruzione”.
Sono saltati i grandi eventi e le fiere di settore, i concerti e gli spettacoli, le stagioni sportive si sono ridotte. Il calendario è stato quindi profondamente modificato. Questo ha portato delle ripercussioni anche sul mercato degli investimenti media. La paura e il lockdown hanno portato allo svuotamento degli scaffali e allo svuotamento dei centri commerciali. Con i divieti di uscite e aggregazione sociale, i mezzi che hanno sofferto e soffrono di più sono evidentemente cinema e out of home. In particolare, per il cinema si stima un calo del 53,8%, legato ovviamente alle chiusure imposte dal lockdown. Hanno subito un crollo però anche periodici e stampa quotidiana. Tv, radio e digital hanno invece limitato i danni con un aumento clamoroso dell’audience nel periodo del lockdown.
La cara vecchia televisione è tornata ad essere punto di riferimento delle masse? Con quali differenze rispetto agli anni 80?
“È vero. Abbiamo cantato troppo presto il requiem per la tv. Prima quella analogica, poi le emittenti locali. Ma è arrivato il digitale e ha stravolto le carte. E adesso le smart tv. Qui si apre, secondo me, un discorso un po’ complicato. Credo che si debba superare, ormai, la logica del mezzo. O meglio, un conto sono i mezzi intesi come strumenti di diffusione del messaggio (l’apparecchio televisivo o lo smartphone) un conto sono i codici del mezzo che determinano i contenuti del messaggio (il linguaggio televisivo non è quello cinematografico e tanto meno quello del web). Credo che si stia assistendo a un processo osmotico che mischia ancora una volta le carte e, quindi, i linguaggi. In parte è normale, in parte la rete e i suoi linguaggi stanno premendo e accelerando la modificazione dei linguaggi degli altri media. Oggi, secondo me, il medium non è – più – il messaggio. Nell’omnicanalità mi pare che il messaggio si interessi di più al contesto della fruizione piuttosto che al canale media utilizzato. Almeno in senso stretto. RAI Play cos’è tv o internet? O, forse, entrambe e nessuna delle due. Il fatto che poi si fruisca questo contenuto da un tablet, uno smartphone o da una smart tv mi pare irrilevante. Rilevante, invece, come e quando lo faccio: la sera sul divano o in metrò? Quella della rete è una rivoluzione trentennale ormai compiuta e dall’evoluzione inarrestabile. Sempre, nella storia dei mezzi di comunicazione di massa, quando sulla scena è comparso un nuovo media gli altri si sono modificati per adattarsi a un contesto mutato. Così è stato per la carta stampata all’arrivo della radio e del cinema, e così è stato per questi tre quando negli anni ’50 la tv ha cominciato a penetrare nelle abitudini di fruizione delle persone. Se la rivoluzione della televisione ha avuto un impatto forte, quella del web è stata distruttiva rispetto alle abitudini sociali, e alle abitudini di fruizione degli altri mezzi di comunicazione. La disponibilità informativa e di contenuto on demand è la linea che credo vincente per tutti i mezzi di comunicazione oggi. Il Covid non è stato altro che l’acceleratore. Le precedenti rivoluzioni dei mezzi erano endogene, ovvero determinate dal comparire sulla scena di nuovi mezzi; questa che il Covid apre sarà esogena: inciderà in profondità sui mezzi per fattori sociali esterni ai mezzi stessi. Questo che faccio è un discorso di contenuto editoriale, al quale poi eventualmente attaccare il contenuto pubblicitario che è propriamente l’oggetto del nostro discorso, pertanto non prendo in considerazione – o lo faccio solo in maniera trasversale- l’outdoor (out of home) come media”.
Fino a qui abbiamo parlato di rapporto tra mezzo, contesto e messaggio editoriale. Come si colloca la pubblicità?
“La rottura del confine a cui stiamo assistendo tra un mezzo e l’altro può essere paragonata alla rottura del confine tra contenuto pubblicitario e contenuto editoriale. Il branded content mi sembra un futuro molto probabile e, per la verità, stiamo già assistendo a qualcosa di più di un interessante esperimento”.
Per quanto riguarda la tv tra marzo e maggio troviamo settori fondamentali del mercato che hanno dimezzato la loro presenza: turismo e tempo libero si sono spenti e c’è stato un incremento invece da parte di altri settori come informatica o prodotti per la gestione della casa. Il mercato ha visto una variazione importante sulla composizione dei clienti: ci sono stati big player che sono stati molto colpiti dalla chiusura del lockdown ma che hanno comunque continuato a stare on air.
“Benché a Milano, in Lombardia e anche in Veneto con Vo’ Euganeo la crisi sia iniziata prima e la notizia sui media abbia iniziato a circolare con forza fin dal 21 febbraio, prendiamo come data simbolo quella dell’11 marzo e l’immediato inizio successivo del lockdown che ha aperto la fase più acuta e terribile della crisi. Benché le riaperture siano state dilatate nel tempo ancora fino ai primi giorni di giugno, l’emergenza più acuta si è chiusa a metà maggio. Due mesi. Sessanta giorni che hanno sconvolto l’Italia. Il resto del mondo ha tempi diversi e parzialmente discordi. Ogni stato ha il suo personale calendario del contagio e delle serrate. Concentriamoci quindi su di noi e su come il mercato pubblicitario ha reagito. Da un punto di vista dei numeri, ce lo spiegano bene i risultati dell’indagine, i grandi investitori si sono parzialmente ritirati. Sono comparsi nuovi player, che però per impatto sul sistema non sono stati in grado di compensare la perdita dei primi. Vedremo cosa succederà ora e nel prossimo immediato futuro. Le stime ci dicono già che, nonostante il rimbalzo della domanda, previsto per il 2021 al +12%, non si sarà in grado di compensare la perdita 2020, stimata con un -17%, riportando il mercato ai livelli pre-Covid del 2019”.
“Interessante qui è anche guardare a come le marche, almeno quelle che hanno continuato ad investire in comunicazione pubblicitaria, si siano comportate. Abbiamo assistito, in quei sessanta giorni tragici, a un primo iniziale silenzio con ritiro di alcune importanti campagne in corso. Successivamente a una comunicazione tutta reimpostata sui grandi valori assoluti. E ha fatto strano sentir parlare un fustino di detersivo come un predicatore gospel. Tuttavia, anche questo è stato. Infine, sempre nel giro dei due mesi, siamo passati dal mantra del distanti oggi più vicini domani e dell’andrà tutto bene a quello della ripartenza; con gli uffici marketing già impegnati a proporre nuovi prodotti adatti al nuovo tempo. Cose di questo mondo, cose di pandemia, si dirà. Ma che cosa ci possiamo leggere? Due cose. Uno, che la capacità di adattamento del discorso di marca al contesto è rapida e potente, potentissima. Due, che le marche stanno sempre più nell’immaginario collettivo, nella crisi della rappresentanza, andando ad occupare le caselle che erano storicamente del prete, del leader politico, del professore. Le marche sono le nuove intermediarie con l’assoluto, compiute medium con il divino. Se la crisi della rappresentanza è anche figlia, per dirla con Popper, della miseria dello storicismo, allora oggi tra Peppone e Don Camillo toccherà metterci anche Nike, Apple e Coca Cola, con buona pace di Guareschi”.
Quanto è importante l’investimento in comunicazione anche ai fini della ripresa?
“È fondamentale l’investimento innovativo. Da una crisi come quella in corso, che sarà lunga e di sistema, vince chi evolve. Chi saprà evolvere uscirà più grande e migliore di prima. Ora, si tratta di capire con chiarezza quale sia l’innovazione bella e buona e quella falsa e inutile. Profeti di quest’ultima ce ne sono troppi in giro. Certamente saranno fondamentali l’investimento in digitalizzazione che semplifica davvero, senza complicare le necessità e i bisogni e quello in comunicazione studiata e controllata. Una comunicazione che sappia farsi orientare dall’analisi dei dati, ma soprattutto dall’acuta capacità di interpretarli e usarli nei contesti corretti, una comunicazione che sappia aderire con creatività al discorso e al contenuto della marca, che sappia applicare la fantasia alla strategia, che sappia vedere nella relazione – umana e professionale – uno dei driver fondamentali del suo sviluppo. Nell’evoluzione storica dei fatti e degli atti umani ci sono molte variabili e alcune costanti. Le relazioni cambiano nei modi e non solo, ma la loro essenza di incontro con l’altro resta immutata e immutabile nel tempo. La comunicazione pubblicitaria è la parola della marca, e le marche non smettono di parlare”.
Durante la conferenza stampa si è parlato del principio di inflazione rispetto al media mix. La domanda da parte degli inserzionisti e la loro disponibilità a pagare è infatti condizionata dai contatti raggiunti attraverso il mezzo. È quindi evidente, come scrive AGCOM nella sua indagine conoscitiva, che l’aumento di fruizione di un mezzo da parte dei consumatori finali produca un effetto indiretto di rete, o “esternalità positiva”, sulla domanda di inserzioni pubblicitarie degli inserzionisti.
“Guarderei il fenomeno da differenti prospettive, come si diceva all’inizio circa il rapporto che lega tutti i mezzi tra loro. Un aumento sensibile del costo di un mezzo genera inflazione nel sistema, trainando anche gli altri mezzi o quanto meno salvaguardando il loro prezzo di mercato. Inoltre, se i costi sul mezzo trainante il mercato sono proibitivi, molti inserzionisti si rivolgeranno a mezzi più a buon mercato pur di salvaguardare, in tutto o in parte, il loro media mix. L’esternalità non ha prezzo e non ha volontà, succede e basta. O almeno così dovrebbe essere. E in questo caso parliamo di esternalità positiva che il successo di un mezzo può avere su un altro. È naturale però che l’esternalità positiva non abbia forza sufficiente per mitigare gli effetti della competizione di mercato che fa sì che un mezzo vinca su un altro”.
Per quanto riguarda il digital i dati presentati mostrano che i primi due mesi sono stati in continuità e parziale crescita rispetto al 2019. Durante il lockdown il digital acquista centralità: dalla scuola con la didattica a distanza, alle piattaforme per lo smartworking fino ad arrivare alla socialità. Aumenta il tempo dedicato al digital con un ritorno alla modalità desktop. Crescono “le teste” tra i giovanissimi e gli anziani, con lo sviluppo di nuove abitudini che potrebbero consolidarsi anche per il futuro. Anche per il digital si ripetono le dinamiche che abbiamo visto per la tv: una domanda che si trasforma, i grandi player sono quelli che hanno avuto un impatto negativo maggiore e crescono altri settori: le industry più centrali nei consumi del periodo di lockdown. Si riscontra comunque una diminuzione degli investimenti sul digitale che si aggira intorno al -12%.
“Che il Covid abbia danneggiato tutti, anche gli investimenti pubblicitari sul digitale, è fuor di dubbio. In questo caso si potrebbe parlare di esternalità negativa che ha colpito il digitale, indipendentemente dai suoi numeri e dalle sue audience, perché nel momento più acuto della crisi, il crollo verticale di tutto e di tutti, compreso degli investimenti sui media, si è trascinato appresso anche il digitale. Benché durante il lockdown il digitale fosse ampiamente utilizzato, più di prima e da nuove fasce di popolazione e con inedite modalità, fatto che avrebbe potuto spingere l’inserzionista a restare o potenziare addirittura il suo investimento, il momento verità, ovvero il momento dell’acquisto, della conversione o del consumo era sparito, non esisteva semplicemente più: sospeso a data da destinarsi. Ecco la ragione del calo. Tuttavia, sul medio lungo periodo il digitale sarà il media più premiato da questo cambiamento. Gli indicatori di crescita che si stanno ipotizzando sul prossimo biennio secondo me non tengono conto di nuovi spazi e nuove modalità di inserzione che seguiranno al consolidarsi di nuove modalità di utilizzo della rete con il completo dispiegarsi del 5G. Dad, fad, smartworking, nuove socialità digitali, meeting ed eventi dematerializzati faranno il resto. E gli investimenti pubblicitari web cresceranno di più e ancora oltre il previsto insieme e parallelamente alla previsione sempre maggiore che la rete avrà nelle nostre vite e nelle nostre abitudini di consumo. Quello che è successo al mercato delle prenotazioni turistiche negli ultimi dieci anni, praticamente spostato tutto o quasi sul web, potrà molto facilmente succedere ad altri settori. Il cambiamento sarà più o meno lento e dipenderà anche dal cambio generazionale, ma sicuramente ci sarà”.
Per il 2021 ci si aspetta una ripresa più rapida proprio per i settori più colpiti nel 2020: cinema +39,4% e OOH +33,6%. Più complessa la situazione per il mercato dell’editoria per cui si stima una lenta ripresa con i quotidiani a +1,8% e i periodici a +1,1%. Perché l’editoria farà più fatica a recuperare i punti persi?
“Perché la gente non legge il giornale. Infatti, credo sia sbagliato parlare di editoria. Meglio carta stampata. La risposta può sembrare banale ma è semplicemente così. Molta offerta, poca domanda, pochi contatti. Costo contatto troppo alto e l’inserzionista, alla lunga, cambia parrocchia. Il ricatto editoriale è stato credibile per un po’. Ma oggi ci credono sempre meno tutti. Il problema credo sia identitario. Un mezzo glorioso, figlio dell’Illuminismo e delle sue riviste, che oggi sente tutta la stanca dei 200 anni di storia che si porta sulle spalle. Un mezzo che fatica a trovare un suo nuovo posizionamento e una sua audience. Chissà, qualcosa succederà, qualcosa sta già succedendo. I poteri di questi tempi si muovono più in fretta del solito. La carta stampata è stata un luogo di espressione del potere. Lo è ancora, lo sarà ancora? O è solo un retaggio del Novecento destinato a sparire per sempre. Chissà. Per ora sospendiamo il giudizio”.
Quanto è importante per un’agenzia di comunicazione studiare e analizzare i dati e ipotizzare le stime degli investimenti dei mesi futuri?
“I dati sono informazioni e sono preziose per tutto e tutti. Per i centri media forse un po’ di più. Anche per le Pr sono importanti. Forse, alle agenzie creative spetta il compito più complesso di darne una lettura che restituisca tutto il valore e tutta la portata delle loro conseguenze, incrociandoli quindi molto bene con gli insight fatti di strategia e fantasia. Ad ogni buon conto, nell’impero del dato che oggi, grazie al digitale e ai sistemi di analisi sempre più raffinati e complessi messi in campo dai BIG player, ci sottomette tutti, quello che manca davvero è la capacità e la coscienza critica e interpretativa per farne un uso consapevole e realmente utile ad orientare le scelte. Un’ermeneutica del dato digitale sarebbe anche già disponibile, ma mi pare che molto pochi la stiano usando e meno ancora la insegnino o abbiano voglia di impararla. Prendono i dati. E poi?”
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