Il Parco del Beigua: modello ligure di sostenibilità e valorizzazione del territorio

Nel nostro viaggio attraverso i parchi naturali italiani, una tappa obbligata per noi non poteva che essere il Parco Naturale Regionale del Beigua, l’area protetta più vasta della Liguria, che in quarant’anni di storia si è affermato come esempio virtuoso di gestione del territorio. Non a caso recentemente Legambiente gli ha assegnato la Bandiera Verde, premiando “un approccio integrato e lungimirante alla gestione del territorio, con un forte accento sulla sostenibilità ambientale e il turismo responsabile”.

Agricoltura sostenibile, manutenzione dei boschi e dei sentieri, turismo di qualità, educazione ambientale, ma anche numerosi progetti finalizzati allo sviluppo locale come i marchi ‘Gustosi per natura’ e ‘Ospitali per natura’, che valorizzano le lavorazioni agroalimentari locali e le strutture ricettive del comprensorio del Parco: sono alcuni degli elementi distintivi di un modello che riesce a coniugare conservazione e sviluppo locale, valorizzando risorse naturali e culturali in una visione integrata e partecipata.

In una conversazione con Maria Cristina Caprioglio, Direttore del Parco del Beigua, abbiamo provato a delineare il ruolo, le sfide e le prospettive del Parco.

Cos’è il Parco del Beigua e quale valore rappresenta per il territorio ligure.

Con una superficie di 8.790 ettari che si estende su 11 comuni tra le province di Genova e Savona, il Parco del Beigua è la più vasta area protetta della Liguria. Nel 2025 celebra quarant’anni dalla sua istituzione, voluta dalle comunità locali, che fin dall’inizio hanno scelto di adottare un modello di gestione del territorio improntato sulla conservazione, ma anche sulla valorizzazione e sullo sviluppo sostenibile. Dal 2005 fa parte della Rete dei Geoparchi mondiali UNESCO, riconoscimento che ne certifica il valore scientifico e culturale: il Parco si distingue per la straordinaria ricchezza geologica, la biodiversità e i paesaggi mozzafiato che spaziano dal crinale appenninico fino al mare. È un patrimonio vivo che custodisce anche tradizioni, cultura locale e un legame profondo con chi lo abita. Per la Liguria rappresenta oggi un punto di riferimento nel campo della conservazione, della ricerca scientifica e della valorizzazione delle risorse locali.

Quali sono le principali sfide nella gestione di un’area protetta che è anche Geoparco UNESCO?

Essere un Geoparco UNESCO ci impone di rispettare criteri molto più stringenti e comporta un ulteriore impegno da parte nostra, non solo nella tutela del patrimonio geologico, naturalistico e paesaggistico, ma anche nella promozione di un modello di sviluppo sostenibile e nella ricerca di un equilibrio con la vita quotidiana delle comunità locali. La sfida è compenetrare il rispetto delle normative europee, nazionali e regionali, a cui il Parco deve sottostare, con il confronto costante con le realtà locali, mantenendo sempre una visione onnicomprensiva, che valorizza non solo l’eccezionale geodiversità e biodiversità del territorio, ma anche il bilanciamento tra conservazione, educazione, promozione culturale e sviluppo locale.

Come riuscite a coniugare la necessità di preservare un ambiente così delicato con il desiderio di renderlo fruibile ai visitatori?

Attraverso una pianificazione attenta e una forte azione educativa, cerchiamo di regolare il più possibile le attività nei siti più sensibili, impegnandoci a trasmettere informazioni chiare sulle modalità di fruizione delle aree più fragili soggette a maggiore tutela, attraverso segnaletica e cartellonistica, punti informativi e centri visita disseminati sul territorio. La sfida principale rimane quella di rendere il parco vivo e frequentato, senza comprometterne l’integrità: un equilibrio che si cerca di mantenere attraverso un lavoro quotidiano di comunicazione, ascolto e relazione diretta con chi il parco lo vive, lo lavora o lo visita.

Quale ruolo gioca la comunicazione nella gestione dei flussi turistici e nella sensibilizzazione dei visitatori?

È uno strumento strategico. Comunicare non significa solo promuovere, ma anche e soprattutto informare e responsabilizzare. La nostra è una comunicazione che definiremmo istituzionale, nel senso più autentico del termine. Il punto di partenza è sempre il racconto di ciò che il Parco fa: attività, progetti, valori. È un modo trasparente per far capire ai cittadini e ai visitatori non solo cosa facciamo, ma come lo facciamo. Al tempo stesso, cerchiamo di fornire informazioni corrette, contestualizzate e accessibili, che si tratti di natura, geologia, prodotti tipici o attività sul territorio. Non comunichiamo per compiacere o attirare consenso. Crediamo invece che la coerenza e la serietà generino rispetto, anche da parte di chi magari non condivide sempre ogni scelta. Questo approccio ha anche un forte valore educativo: se parliamo in modo chiaro, possiamo anche permetterci di chiedere con altrettanta chiarezza rispetto per l’ambiente, per le regole, per i luoghi. È nostro dovere, ad esempio, dire quando un comportamento è inappropriato o dannoso, anche se a volte può non piacere. Ma lo diciamo con gentilezza, fermezza e rispetto – perché crediamo che la serietà e la credibilità dell’ente siano il miglior modo per tutelare il territorio e costruire un dialogo aperto con chi lo visita e con chi lo vive quotidianamente.

Che tipo di relazione avete con le amministrazioni locali e gli operatori turistici del territorio?

Un rapporto di collaborazione costante. In questi decenni, il parco ha costruito un modello di governance partecipata, fondato sul confronto continuo con le comunità, le amministrazioni locali, gli operatori turistici e i cittadini. Questo approccio ha permesso di tenere insieme esigenze diverse: tutela dell’ambiente, qualità della vita e sviluppo economico locale. Il Parco non può operare da solo: lavoriamo con Comuni, associazioni, imprese turistiche per costruire una visione condivisa del territorio.

Come vivete il delicato rapporto con il turismo in senso lato?

Nel corso degli anni, il Parco del Beigua ha costruito un rapporto sempre più stretto con il tessuto economico e turistico locale, ad esempio attraverso i marchi “Gustosi per Natura” e “Ospitali per Natura”, strumenti concreti per avviare un dialogo con le piccole realtà del territorio, coinvolgendo agricoltori, ristoratori, operatori turistici e artigiani. Un passaggio fondamentale è stato l’ottenimento della Carta Europea del Turismo Sostenibile (CETS), un percorso di governance partecipata che ci permette di lavorare in rete con gli attori del turismo sostenibile – pubblici e privati – per sviluppare progetti condivisi, affrontare criticità, individuare nuove opportunità. Ogni anno si organizzano incontri e tavoli di confronto che favoriscono lo scambio di esperienze e la costruzione di una visione comune. Questa collaborazione ha anche fatto emergere le diverse dinamiche che convivono all’interno del Parco, che comprende sia comuni costieri, attrattivi per il turismo balneare tradizionale, sia comuni dell’entroterra, un tempo più marginali ma oggi sempre più vitali. Un fenomeno alimentato anche da una crescente domanda da parte di chi, pur amando il mare, cerca esperienze più autentiche, spazi meno affollati e un contatto diretto con la natura, senza allontanarsi troppo dalla costa. Il trasferimento della sede del Parco a Varazze, sulla passeggiata a mare, ha rafforzato ulteriormente questa sinergia. In collaborazione con gli albergatori e con il supporto del Comune, è stato attivato un punto informativo che rimane aperto per lunghi periodi, fungendo anche da ufficio turistico. Questo presidio non promuove solo la località costiera, ma racconta ai visitatori l’intero comprensorio del Parco invitandoli a scoprire anche l’entroterra.

Avete notato cambiamenti nell’atteggiamento del pubblico negli ultimi anni?

Sì, c’è maggiore attenzione e sensibilità da parte di molti visitatori. In generale, le persone che partecipano alle nostre attività e frequentano il Parco sono sempre più interessate e consapevoli. Cresce l’interesse per esperienze autentiche, turismo lento, prodotti locali. Ma esistono ancora comportamenti poco consapevoli, soprattutto nei periodi di maggiore pressione turistica oppure in alcuni luoghi simbolici, come possono essere il monte Beigua, il passo del Faiallo o Pratorotondo, che in alcuni momenti dell’anno vengono magari presi d’assalto da un tipo di turismo più “mordi e fuggi”. Proprio per questo continuiamo a investire in educazione ambientale, comunicazione e coinvolgimento attivo del pubblico.

Che tipo di visitatore vorreste attrarre nel futuro? E che tipo di messaggio sperate porti a casa dopo una visita al Parco del Beigua?

Un visitatore curioso, rispettoso, interessato a scoprire e comprendere. Ci auguriamo che chi visita il Parco non si limiti a “consumare” un paesaggio, ma si lasci coinvolgere da una narrazione più ampia – quella di un territorio che vive, cambia, si prende cura del proprio futuro – e soprattutto si lasci emozionare.  Perché qui ci sono luoghi davvero emozionanti. Basti pensare a quel tratto di Alta Via dei Monti Liguri nell’area di Pratorotondo, con un panorama che spazia da est a ovest, dalle Alpi Apuane, passando per il profilo della Corsica, oltre l’orizzonte, fino al ponente ligure e le Alpi Marittime. La nostra speranza è che chi visita il Parco del Beigua possa viverlo davvero a 360 gradi: non solo per i suoi paesaggi spettacolari, gli aspetti naturalistici e geologici, ma anche per la dimensione umana e culturale che lo abita. Vorremmo che un’escursione possa trasformarsi in un’esperienza più profonda, come ad esempio incontrare un allevatore in una delle aziende agricole del territorio, capire da vicino quanta passione e fatica richiede mantenere viva un’attività in questi luoghi, assaggiare un formaggio prodotto lì, acquistarlo, e poi ritrovarselo a casa, con un sapore diverso perché carico del ricordo di quel momento. È questo il tipo di esperienza che cerchiamo di offrire: autentica, consapevole, capace di lasciare un’impronta. E ci auguriamo che siano sempre di più le persone disposte a viaggiare con questo spirito, a cercare un legame vero con i luoghi che attraversano.

Conclusione

Il Parco del Beigua rappresenta oggi uno dei migliori esempi italiani di come un’area protetta possa essere al tempo stesso custode di biodiversità, luogo vivo di relazione tra natura e comunità e laboratorio di sviluppo sostenibile. In un tempo in cui il turismo è chiamato a ripensarsi in chiave più responsabile, il Beigua mostra che è possibile proporre esperienze autentiche, che parlano al cuore e alla mente, capaci di connettere in modo profondo le persone ai luoghi. Visitare il Parco del Beigua non è solo percorrere sentieri spettacolari o scoprire paesaggi unici, ma vuol dire anche lasciarsi coinvolgere da una narrazione collettiva fatta di persone, storie, saperi e passioni. È, in definitiva, un invito a riscoprire il valore della lentezza, dell’ascolto e della cura. E a portare con sé, una volta tornati a casa, non solo un ricordo, ma una consapevolezza nuova.

Foto di Roberto Guaschino

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