La prima tappa del nostro viaggio estivo in Veneto passa da Verona e dal Lago di Garda. Abbiamo intervistato Luca Caputo, direttore di Destination Verona & Garda Foundation, la nuova Fondazione costituita dalla Camera di Commercio veronese e da svariati Comuni del territorio per le due DMO territoriali e i quattro marchi d’area.
Un punto di partenza utile a capire in che direzione si sta muovendo la governance della Regione in materia di turismo, in questa interessante fase di transizione.
Qual è lo stato di avanzamento del piano strategico Verona Garda, e come si integra a tuo avviso con le politiche regionali?
Il piano strategico nasce in perfetta sintonia con le volontà e gli obiettivi di Regione Veneto, ha avuto un processo di costruzione partecipato sul territorio e tiene conto delle specificità della neocostituita Fondazione: un modello nuovo, su cui la Regione sta investendo molto. È la prima volta che si prendono in considerazione insieme due DMO come Verona e il Lago, che si sono sempre percepite come entità separate, anche se spesso nell’immaginario del turista sono un tutt’uno.
Con il piano strategico assistiamo, in un certo senso, a un ripensamento del territorio: interpreta la volontà di cambiamento attraverso una narrazione nuova, con l’obiettivo di parlare a mercati diversi, o anche agli stessi mercati ma con diverse motivazioni di viaggio.
Quali sono gli assi portanti, i mercati e i target?
Ci muoviamo su questi grandi asset: promozione e commercializzazione, gestione degli attrattori, business intelligence e Convention Bureau, che è mancata sul territorio in maniera così strutturata.
Naturalmente tutti gli attori coinvolti, anche operatori e stakeholder, si aspettano indicazioni sulla promozione e la comunicazione. Sia rispetto a mercati tradizionali (domestico e DACH) che a mercati potenziali, come il Nord Europa o il mercato francese. Una destinazione oggi deve avere la capacità di interpretare i cambiamenti e le evoluzioni della domanda, anche per far nascere un bisogno su altri mercati.
Si richiedono professionalità che magari al momento attuale ancora non ci sono, o che possono essere difficili da coordinare su un territorio a macchia di leopardo attraverso l’operato – spesso anche ottimo – dei consulenti o dei singoli comuni. Penso per esempio al lavoro di Business Intelligence, all’analisi dei dati: sono professionalità che possono crescere all’interno della Fondazione, nel momento in cui la loro importanza diventa chiara.
Parliamo del percorso che ha portato al vostro modello di governance?
È stata fatta una scelta “drastica”, in senso positivo: creare un organismo di diritto giuridico in grado di portare avanti il lavoro che ci siamo detti, restando però snello nei meccanismi decisionali.
La parte privata è rappresentata dalla Camera di Commercio, che esprime all’interno del CDA quattro soggetti. Altri quattro provengono dalla parte pubblica: Verona, per esempio, esprime un suo rappresentante e i sei comuni del Lago con maggiori presenze (sopra le 800 mila) ne esprimono un altro e ad entrambi è stata assegnata la vicepresidenza. Gli altri due vengono designati uno dai restanti comuni della DMO lago e l’altro a rotazione tra i marchi d’area.
I componenti possono essere di estrazione politica come no: la scelta è a discrezione dei Comuni e si tratta di una carica svincolata da quella elettiva, che deve esprimere il territorio, non un’idea politica. L’impegno nel CDA ha una durata di cinque anni e la Fondazione è partita con la sottoscrizione di una cinquantina di Comuni, su novanta che compongono la provincia di Verona. La compartecipazione pubblica e privata è una risorsa fondamentale per la Fondazione.
Più che ragionare in termini di promozione (su un territorio che non ne ha sostanzialmente “bisogno”), il nuovo modello di governance prevede anche la possibilità di gestire direttamente gli attrattori e gli IAT: il Comune, in quanto socio, può chiedere alla Fondazione di gestire gli Uffici di informazione e accoglienza turistica, ma anche di tutti gli attrattori turistici del territorio per implementare servizi di promocommercializzazione (ticketing, tour, affitto spazi, etc). Anche laddove non ci sia una gestione diretta, è possibile prevedere un lavoro di coordinamento, per favorire il dialogo costante con gli operatori e, soprattutto, per impostare una comunicazione sinergica, che porti a pensare lo IAT come un punto d’accesso all’intero territorio, non alla singola destinazione. Il tema degli attrattori è ancora più complesso: si scontra con consuetudini, con l’abbiamo sempre fatto così. Spingere a una dimensione di governance diversa vuol dire anche riflettere in senso più ampio sulla direzione della città e del territorio, dagli spazi urbani alla mobilità. Tutti aspetti rispetto a cui il turismo non si può più pensare “slegato”.
A livello di budget, che numeri ha la Fondazione Verona & Garda?
Al momento ha un apporto di un milione e 400mila euro l’anno, che in prospettiva di crescita delle adesioni potrebbe arrivare al milione e mezzo. I Comuni contribuiscono per un totale di 800mila euro, in base a parametri legati a soglie di sbarramento in termini di presenze turistiche e pescando dal bilancio della tassa di soggiorno, mentre la Camera di Commercio investe tre milioni nell’arco di cinque anni.
Un aspetto da tenere presente è quello delle persone: per attuare efficacemente questo nuovo modello di governance è cruciale l’apporto di un team di professionisti, tenendo conto che per un buon andamento di una Destination Management Organization – così come emerge da uno studio sui modelli portato avanti da Regione Veneto – i costi del personale devono ballare almeno tra il 20% e il 30% in proporzione al budget totale.
Quali sono gli strumenti e le strategie della comunicazione?
Ci sono due portali di destinazione, “ereditati” dalle due DMO, con la prospettiva futura di approdare a un portale unico com’è nella normalità delle cose, funzionale anche alla promo-commercializzazione, attraverso un sistema che permetterà la piena funzionalità delle prenotazioni attraverso il Destination Management System regionale di Feratel. A questo scopo, nel rispetto della normativa imposta dalla Regione, abbiamo selezionato un soggetto esterno che possa svolgere l’attività di intermediazione alla vendita.
Fin da subito c’è stato un lavoro di catalogazione e mappatura dell’offerta esistente, accompagnato da alcune scelte strategiche di indirizzo e requisiti di qualità. Due su tutti, tour con almeno una seconda lingua e partenza garantita. Questo è un grande obiettivo per una destinazione, perché il turista è cambiato e non è più disposto a pensare che per prenotare un tour debba aspettare altre persone, pena l’annullamento della visita. Abbiamo dunque aiutato e spinto gli operatori a ripensare, là dove possibile, sempre più tour con partenza garantita attraverso l’impostazione di prezzi dinamici sulla base del numero di partecipanti all’esperienza. Per questo è importante coinvolgere tutti i touch point (IAT, hotel, eccetera): per creare una rete che faccia poi da moltiplicatore di vendita. L’altro percorso da porsi come obiettivo è la creazione e il consolidamento di un circuito autorevole di offerte e di partner B2B e B2C riconducibili direttamente alla destinazione, da inserire nel portale e in catalogo, perché la destinazione deve sentirsi responsabile della qualità di ciò che viene venduto sul mercato.
I punti che hai toccato evidenziano bene quanto siano strettamente connessi gli aspetti di promo-commercializzazione rispetto al sistema di governance…
Il ruolo delle DMO si è evoluto e non basta più pensare solo alla promozione, il problema è che questo passaggio molte organizzazioni turistiche non l’hanno ancora fatto perché torniamo su un tema tanto brutale quanto strutturale: per competere sul mercato turistico le DMO di oggi devono avere budget e team interno dedicato come una vera e propria azienda privata, per sostenere quell’effetto-moltiplicatore dato dal marketing e dalla vendita di prodotti e servizi.